Il Trattato sulle risorse genetiche al bivio tra biopirateria e diritti dei contadini

Per l’undicesima volta dalla sua ratifica, in questi giorni l’Organo di governo del Trattato sulle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (ITPGRFA) si riunisce per valutarne il funzionamento e lo stato di implementazione.

La riunione, apertasi a Lima il 24 novembre, vede la partecipazione di delegati da 155 paesi, più osservatori da organizzazioni contadine, ONG, accademia e industria sementiera. Le organizzazioni contadine e dei Popoli Indigeni, rappresentate dall’International Planning Committee for Food Sovereignty (IPC), partecipano con una delegazione di 14 persone da Perù, Guatemala, Mali, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Messico e Italia.

In discussione ci sono elementi di vitale importanza per il futuro del Trattato e del suo stesso senso di esistere. Questo accordo internazionale, approvato nel 2001, nasce come un tentativo di garantire l’accesso facilitato alle sementi di 64 specie vegetali di interesse particolare per la sicurezza alimentare, contenute nelle banche del germoplasma dei paesi contraenti.

Queste collezioni di risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (PGRFA), che oggi contano circa 2,6 milioni di campioni, sono state originariamente conservate, riprodotte e fornite (o raccolte) dai contadini di tutto il mondo. Rappresentano un patrimonio di biodiversità agricola enorme, il cui codice genetico contiene la conoscenza tradizionale di chi le ha coltivate, adattandole ai territori, agli stress climatici e biotici.

L’accesso facilitato a questa rete di banche del germoplasma e istituti di ricerca, definiti Sistema Multilaterale (MLS), implica la firma di un contratto (Standard Material Transfer Agreement – SMTA). I ricercatori pubblici o dell’industria che intendono utilizzare queste risorse per sviluppare nuove varietà, hanno l’obbligo di non brevettare le risorse genetiche ottenute dal Sistema Multilaterale, le loro parti e componenti. L’accesso facilitato a queste risorse dev’essere sempre garantito, mentre i diritti di proprietà intellettuale lo restringerebbero, violando l’articolo 12.3d del Trattato.

Tuttavia, le sementi prelevate dal Sistema Multilaterale possono contribuire allo sviluppo di varietà commerciali privatizzate. In questo caso, le aziende utilizzatrici delle risorse genetiche di questo spazio “comune” devono restituire una quota dei loro profitti a un fondo di ripartizione dei benefici (Benefit-Sharing Fund – BSF) gestito dall’Organo direttivo del Trattato. Con i fondi raccolti, dovrebbero essere finanziati progetti di conservazione dell’agrobiodiversità a livello locale.

Questa architettura, tuttavia, non ha mai funzionato. Mentre l’accesso è stato ampiamente utilizzato, con 7 milioni di trasferimenti di risorse genetiche registrati al 2025, non si registrano contributi corrispondenti. A causa delle numerose scappatoie legali e delle differenti interpretazioni del Trattato, dal 2009 solo 800 mila dollari sono stati versati dalle imprese che hanno effettuato accessi al Sistema Multilaterale. Altri 32 milioni sono stati erogati come donazioni da parte di alcuni governi e altre istituzioni. I beneficiari dei progetti sono banche del germoplasma e ONG, mentre quasi mai i fondi raggiungono direttamente le organizzazioni contadine, per le quali è molto complesso applicare a progetti.
La mancanza di tracciabilità nel passaggio di sementi che può avvenire dopo il primo accesso al Sistema Multilaterale è uno dei problemi che rende impossibile capire chi e quando deve pagare per l’utilizzo del germoplasma prelevato. Ancora peggio, non è possibile verificare chi sta ottenendo brevetti su tratti genetici dei campioni dell’MLS che restringerebbero l’accesso alle risorse genetiche che li contengono, violando il Trattato.

Con la crescente applicazione della cosiddetta “intelligenza artificiale” al processo di selezione varietale di laboratorio, la digitalizzazione del DNA contenuto nelle forme di vita è diventata una realtà e le sementi del Sistema Multilaterale non fanno eccezione. I ricercatori che le utilizzano per il loro lavoro, pubblicano le sequenze digitali del DNA nei loro studi e le caricano in database liberamente accessibili su Internet, senza obbligo di indicazione dell’origine. Milioni di stringhe di DNA digitale, incluso quello corrispondente a risorse fisiche gestite secondo le regole del Trattato, possono quindi essere scaricate e utilizzate per individuare tratti di interesse commerciale, realizzando sementi modificate e coperte da brevetto. La riluttanza dei paesi nordamericani, insieme ad Unione Europea, Australia, Giappone e Corea, sta bloccando da anni il riconoscimento delle informazioni di sequenza digitale (DSI) come componente delle risorse genetiche, per cui il Trattato vieta la brevettazione.

Questo enorme buco legale sta permettendo alle aziende di sfuggire alle regole dell’ITPGRFA e brevettare le sue risorse genetiche a partire dalla loro controparte digitale. La dimostrazione che questo sta avvenendo è nei dati pubblicati dalla rete di Centri di ricerca internazionali CGIAR.
Questi brevetti alimentano l’accelerazione esponenziale della concentrazione del mercato sementiero nelle mani delle principali aziende del mondo (Bayer-Monsanto, BASF, Syngenta, Corteva).

L’Organo direttivo del Trattato è quindi chiamato a risolvere questa incompatibilità fra la biopirateria digitale, che cresce man mano che le DSI vengono caricate su database open access, e il diritto internazionale. Il lavoro svolto da un gruppo intersessionale di delegati governativi, al quale l’IPC ha partecipato, ha portato oggi a un pacchetto di misure che dovrebbero migliorare il funzionamento del Sistema Multilaterale. Tuttavia, queste vengono proposte insieme alla richiesta dei paesi ricchi di includere nell’MLS riformato tutte le risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, andando ben oltre la lista delle 64 specie oggi coperte. Secondo questi governi, aumentare la “dotazione” dell’MLS incoraggerebbe le aziende ad accedere pià di frequente e pagare l’obolo dovuto al momento della commercializzazione di varietà che incorporano quel germoplasma. Ma senza un divieto chiaro (espresso nell’SMTA e riflesso nella legislazione nazionale) di brevettare le DSI corrispondenti, questa operazione porterebbe a una massiva espropriazione e privatizzazione dell’agrobiodiversità da parte del settore privato, aggirando l’articolo 12.3d.

Inoltre i diritti degli agricoltori a conservare, scambiare e vendere le proprie sementi, riconosciuti dal Trattato stesso all’articolo 9 e già violati in molti paesi, sarebbero compromessi irrimediabilmente una volta che tratti genetici contenuti non solo nell’MLS, ma anche nei loro “parenti” coltivati nei campi, diventassero improvvisamente di proprietà di un’impresa titolare del brevetto sull’informazione digitale corrispondente.

L’IPC si trova a Lima con l’intento di lottare contro un’espansione dell’MLS a tutte le risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura contenute nelle collezioni delle banche del germoplasma, chiedendo che prima vengano vietati a livello nazionale e internazionale i brevetti sulle DSI contenute in queste risorse. Solo allora, quando l’MLS sarà diventato un posto sicuro, le organizzazioni contadine saranno favorevoli a discutere del suo allargamento.

La Convenzione sulla Biodiversità (CBD), sorella del Trattato che regola a livello internazionale l’accesso e la ripartizione dei benefici per le risorse genetiche diverse da quelle di interesse agricolo e alimentare, ha deciso di separare la gestione del DSI da quella delle risorse genetiche fisiche, creando un fondo volontario per raccogliere il denaro del benefit sharing che le imprese utilizzatrici del DSI “dovrebbero” finanziare. Se la normativa internazionale non metterà mano a questo problema, assisteremo a una crescita dei brevetti sulle DSI di risorse genetiche. Il Trattato è oggi l’ultimo baluardo per costruire un approccio diverso alla regolamentazione delle DSI e l’IPC farà di tutto perché ciò avvenga.