La guerra in Ucraina ha davvero sconvolto il mercato alimentare?

L’aggressione all’Ucraina e alla sua popolazione civile da parte delle forze armate della Russia, iniziata il 24 febbraio 2022 a seguito del riconoscimento da parte del presidente Putin dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, le due aree a maggioranze russa del Donbass, ha scosso l’intero pianeta riportando nelle vite di tutti l’antica paura della guerra, della miseria e della fame che con questa si diffondono a macchia d’olio, peggio di una pandemia.

È noto che l’Ucraina viene chiamata il granaio d’Europa, fama risalente all’Impero Russo, che dalle fertili e pianeggianti terre ucraine traeva buona parte dei propri approvvigionamenti di grano e alimenti.

Nell’ultimo decennio, l’Ucraina è divenuta tra i principali esportatori di cereali nell’Unione europea, registrandosi come il principale paese fornitore per l’UE nel 2018.[1] Nel frattempo mantiene solide relazioni con la Cina e con i paesi vicini dell’ex Unione Sovietica, così che le esportazioni di cereali dall’Ucraina sono arrivate a 9,42 miliardi di dollari durante il 2020[2] e oggi il paese è il sesto esportatore mondiale di grano.

È fondamentale ricordare che durante un conflitto la sicurezza alimentare delle parti interessate può subire conseguenze immediate, gli attacchi possono distruggere fattorie, uccidere bestiame, impedire le semine e colpire infrastrutture civili; risulta evidente però che la destabilizzazione di un’area – che comprende sia Ucraina che la Federazione russa –  così cruciale per l’approvvigionamento di grano e cereali potrà avere profonde ripercussioni a breve termine anche livello globale. Ma inquadriamo meglio il fenomeno con i dati.

Il ruolo di Russia e Ucraina nel mercato mondiale dei cereali

Non si può negare che conflitto non sia destabilizzante per le dinamiche della globalizzazione, perché colpisce filiere internazionali da cui dipendono equilibri politici e sociali di nazioni anche molto distanti dal fronte. È il caso di quelle della sponda sud del Mediterraneo, largamente dipendenti dall’importazioni di grano dall’Ucraina. Per questi paesi, trovarsi privi di un prodotto che garantisce una quota imprescindibile delle calorie assunte quotidianamente dalle persone, è un problema di prima grandezza. Tuttavia, ogni cosa va inserita nel suo contesto più ampio, e se da un lato è vero che alcuni paesi mediorientali e nordafricani scontano una forte dipendenza dalle importazioni russe e ucraine di grano tenero, è altrettanto vero che al di là di questi casi specifici il riverbero del conflitto sull’aumento dei prezzi del cibo non è sensibile.

Anche se  l’export di cereali di Ucraina e Russia rappresenta – in volume – il 18% del commercio globale, solo il 17% del totale dei cereali prodotti nel mondo viene scambiato sul mercato internazionale. In particolare, solo un quarto della produzione di grano viene commercializzato su scala diversa da quella regionale (Dati FAO, marzo 2022 – Bulletin de la FAO sur l’offre et la demande de céréales).

I dati di SciencesPo relativi al 2016 (ma negli ultimi 5 anni le cose non sono cambiate al punto da renderli obsoleti) dicono inoltre che l’UE copre solo il 15% dell’importazione totale di cereali con forniture dall’Ucraina e un modesto 5% con quelle dalla Russia.

Non siamo quindi dipendenti dal grano est europeo, anzi, tutt’altro. Un altro mito che circola riguarda la zootecnia europea che fa affidamento su colture foraggere importate dall’Ucraina per alimentare gli animali. Ancora una volta però, i dati dimostrano il contrario. L’importazione di proteaginose di provenienza ucraina coprono tra il 4 e l’ 8% dei consumi. Eppure l’industria della carne e dei derivati, insieme alle associazioni di categoria, ha agitato lo spauracchio della carestia per chiedere due cose al governo e alla Commissione Europea:

  • aumentare la produzione comunitaria di colture proteiche, in deroga alle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030
  • aumentare le importazioni di colture OGM dalle Americhe per sopperire al calo dell’offerta russo-ucraina

La verità è che questi gruppi di interesse stanno cavalcando il momento drammatico del conflitto per ottenere vantaggi competitivi per i settori della carne, dei prodotti lattiero caseari e dei prodotti da forno, settori ben controllati da aziende di grande e grandissima dimensione, spesso a carattere transnazionale.

Un possibile impatto sull’agricoltura italiana?

Secondo ISMEA l’Italia si posizionava nel 2020 al decimo posto tra i paesi importatori di prodotti agraoalimentari dall’Ucraina. Il fatturato dei nostri acquisti è di 496 milioni di euro, pari al 3% dell’export agroalimentare ucraino. L’Italia è invece il secondo fornitore estero di cibo al paese, dopo la Polonia, con una quota del 7% pari a 415 milioni di euro.

Il nostro Paese acquista dall’Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, mais e frumento tenero. Relativamente al mais, è da segnalare che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore dopo l’Ungheria, con una quota di poco superiore al 20% sia in volume che in valore. La strutturale dipendenza degli allevamenti intensivi dal prodotto di provenienza estera spiega le richieste delle lobby di una deregolamentazione delle importazioni da oltreatlantico, unite alla domanda di una ripresa della produzione domestica e della contestuale sospensione della normativa ambientale.

Più marginale il ruolo dell’Ucraina per il frumento tenero, altro prodotto per il quale l’Italia è fortemente deficitaria. Qui le forniture di Kiev coprono appena il 5% in volume e in valore dell’import totale nazionale. Non sembra sia il caso di individuare nella guerra la causa principale della crescita dei prezzi alimentari.

Perché aumenta il prezzo del cibo

Allo stesso tempo, non si può nemmeno dire che il conflitto sia privo di ricadute sul commercio di queste materie prime, oltre che degli input chimici (da notare soprattutto la restrizione all’export di fertilizzanti russi varata a febbraio dal presidente Vladimir Putin). Ma un ruolo ben più determinante lo sta giocando la speculazione finanziaria, attraverso i contratti a termine (futures) scambiati alla celeberrima Chicago Stock Exchange (e non solo).

I prezzi delle materie prime alimentari salgono infatti perché il clima di incertezza ne fa impennare il valore in borsa, l’aumento del prezzo dell’energia rende più cari il trasporto e la lavorazione industriale, l’effetto rimbalzo dopo la fase acuta della pandemia vede crescere troppo rapidamente la domanda sul mercato globale rispetto alla capacità di risposta delle infrastrutture commerciali, ancora “arrugginite” da due anni di forte recessione.

Questi sono i reali fattori che contribuiscono a formare il prezzo delle commodities in questo momento: usare la guerra per indebolire le regole ambientali poste dalle strategie europee al settore agricolo è soltanto un pretesto.

Ciò non significa negare la gravità di una guerra alle porte d’Europa. Il nostro pensiero va infatti ai milioni di piccoli produttori di cibo in un paese che fa dell’agricoltura un fondamentale pilastro dell’economia nazionale. Guardiamola un po’ più da vicino questa Ucraina degli agricoltori, per conoscere meglio il suo tessuto economico rurale.

La struttura del Sistema agricolo in Ucraina

Sebbene tutte le terre agricole dell’Ucraina appartengono allo stato, le grandi aziende ne affittano più dell’80%. Tuttavia le realtà considerate familiari (intorno ai 2 ettari), secondo il servizio statistico nazionale (UKRSTAT) sono circa 4.6 milioni, sulle quali lavorano – spesso collettivamente – quasi 10 milioni di famiglie. Si tratta di gran parte dei 44 milioni di abitanti del paese, che si estende complessivamente su una superficie di 600 mila kmq, praticamente il doppio dell’Italia.

La taglia media delle aziende agricole è però di 100 ettari (cifra che arriva appena ad 11ettari nel nostro paese), un dato sbilanciato dalla presenza di alcune migliaia di grandissime aziende che occupano fino a 500 mila ettari. La maggior parte cresce cereali. I piccoli agricoltori dipendono quindi dai loro vicini più grandi per servizi come la trebbiatura e lo stoccaggio del raccolto. I prezzi scendono significativamente nel periodo del raccolto, quindi quelli che possono contare su una capacità di stoccaggio sono gli unici a trarre qualche beneficio dal negoziato.

Da più di vent’anni, la politica agricola in Ucraina favorisce l’agricoltura su larga scala, riducendo lo spazio per lo sviluppo dell’agricoltura familiare.  Non solo manca una visione per l’agricoltura contadina, ma sono in corso iniziative politiche (proposte di legge #331 e #331d) che potrebbero metterla ulteriormente sotto pressione. La revoca della moratoria sulla vendita dei terreni agricoli nel luglio 2021 e alcune ulteriori iniziative legislative (ad esempio, la cosiddetta imposta minima su ogni ettaro di terreno agricolo) rischiano di dare un duro colpo alla piccola agricoltura ucraina. Inoltre, il sistema dei sussidi premia i grandi e grandissimi produttori: solo il 15% del budget viene destinato all’agricoltura familiare. I piccoli produttori incontrano grandi ostacoli anche nell’ottenere crediti agevolati, disponibili soltanto per quelle aziende che hanno già accesso ai prestiti delle banche commerciali. Per lo più queste sono imprese che superano i 2 mila ettari: quelle sotto i 100 ettari di solito non vengono prese in considerazione.

Ora, con la guerra, sarà tutto ancora più difficile. La FAO ha promesso un piano di risposta rapida perché prevede che la crisi avrà un impatto sulla popolazione rurale in tutte le zone dell’Ucraina. È probabile che ampie porzioni della popolazione colpita rimarranno nelle loro comunità, affrontando sfide estreme. Vedremo quale assistenza sarà in grado di mettere in campo l’agenzia.

La guerra in un paese non fa sconti a nessuno.

Oltre a questa analisi, che possiamo fare grazie ai dati e alla ricerca, è difficile sapere cosa stia davvero accadendo nelle zone rurali dell’Ucraina. Come spesso succede, i contadini porteranno il peso delle distruzioni dei raccolti ma, ancora più pesante, sarà l’obbligazione di alimentare un paese attraversato dalle distruzioni della guerra. Forse nessuno li definirà eroi, perché imbracciare un aratro non rientra in nessun immaginario dell’eroismo. Ma per noi lo sono.


[1]https://www.agriculture-strategies.eu/en/2019/05/exports-of-ukrainian-corn-to-the-european-union-counter-meaning-on-the-new-silk-roads/

[2] https://tradingeconomics.com/ukraine/exports-by-category