Al Trattato FAO le imprese continuano a razziare le sementi contadine

Da vent’anni non pagano per tutte le sementi contadine che prendono dalla grande riserva comune creata dal Trattato sulle risorse genetiche (ITPGRFA). E oggi continuano a lottare per eludere gli obblighi che proprio quel trattato stabilisce, cioè la condivisione dei benefici derivanti dal loro business con chi quelle sementi le ha originariamente selezionate nei campi, cioè le contadine e i contadini. Le imprese sementiere, con l’avallo dei governi del Nord Globale, accedono a loro piacimento da due decenni ormai a questo “sistema multilaterale”, utilizzano le risorse genetiche per produrre varietà commerciali – a volte brevettate – senza ottemperare al cosiddetto benefit sharing.

Da oggi a venerdì siamo alla FAO per seguire i negoziati su questo tema insieme a Guy Kastler, della Via Campesina, venuto dalla Francia in rappresentanza del gruppo di lavoro sulla biodiversità agricola dell’International Planning Committee for Food Sovereignty (IPC). Il tema è infatti un punto su cui i movimenti contadini non intendono cedere terreno, perché rappresenta un fatto di giustizia e di rispetto dei diritti collettivi di chi ha selezionato le risorse genetiche oggi saccheggiate dalle imprese. Non ci sarebbe agricoltura senza il lavoro di selezione, conservazione, riproduzione di sementi svolto per 12 mila anni da contadine e contadini. Chi sfrutta queste risorse per produrre piante per profitto, deve ricompensare adeguatamente i loro veri inventori.

Il sistema multilaterale è un meccanismo di accesso facilitato a 2,2 milioni di campioni di semi e piante di 64 specie di colture e foraggi, elencati nell’Allegato 1 dell’ITPGRFA. La maggior parte di questi campioni è stata raccolta dai campi degli agricoltori che li hanno selezionati e riprodotti di generazione in generazione. Rappresentano quasi il 40% dei campioni conservati nelle banche del germoplasma. Il 60% proviene da collezioni nazionali, il 5% da collezioni private e il 35% da banche dei semi internazionali (CGIAR).

Come funziona la condivisione dei benefici

Queste risorse genetiche (PGRFA) possono essere prese e utilizzate. Il beneficiario che commercializza prodotti contenenti risorse provenienti dal Sistema Multilaterale con restrizioni (ad esempio un brevetto) ha due opzioni alternative per la condivisione dei benefici monetari:

  • paga lo 0,77% sulle vendite nette del prodotto commercializzato con restrizioni per un periodo corrispondente alla durata di tale restrizione (ad esempio, 20 anni nel caso di restrizioni basate sui diritti di proprietà intellettuale), oppure
  • paga lo 0,5% sulle vendite di tutti i prodotti PGRFA della stessa coltura a cui appartiene il materiale a cui si è avuto accesso per 10 anni (rinnovabili).

In questo secondo caso, il pagamento è più alto e in cambio il beneficiario può accedere a tutto il materiale genetico di quella coltura senza stipulare più contratti di accesso.

I benefici monetari generati confluiscono in un fondo multilaterale, il Benefit Sharing Fund. Questo fondo è aperto anche ai contributi diretti e alle donazioni. Le risorse dovrebbero fluire poi – tramite i governi – agli agricoltori, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, che conservano e utilizzano le sementi e le risorse genetiche in modo sostenibile.

Tuttavia, questi pagamenti sono facoltativi quando alle risorse genetiche commercializzate non sono applicate restrizioni per la ricerca e la selezione, cioè quando sono prive di diritti di proprietà intellettuale o coperte da una privativa per varietà vegetali, cioè una forma di “brevetto light” che limita solo i diritti degli agricoltori e non quelli dei selezionatori (breeders).

Come le imprese violano i diritti dei contadini

La realtà è che per i primi 15 anni non è stato fatto alcun pagamento nel Benefit Sharing Fund. Le aziende sementiere brevettano materiale genetico realizzato a partire dalle sementi contadine e dai tratti che prendono dal Sistema Multilaterale, ma non pagano. Nessuno le sta obbligando a tracciare le risorse genetiche che usano, così da coglierle con le mani nel sacco. Peggio ancora, l’industria si nasconde dietro il segreto commerciale per non fornire alcuna informazione.

In assenza di contributi da parte dei beneficiari, alcuni Stati e privati hanno effettuato versamenti volontari per avviare il Fondo. Al 2020 erano stati raccolti appena 10 milioni di dollari. Questa miseria per noi rappresenta una precisa scelta politica: quella di non pagare il lavoro degli agricoltori nel selezionare, conservare e rinnovare le risorse genetiche.

Per questo siamo qui, e continueremo a seguire il processo insieme alle contadine e ai contadini dell’IPC. Vogliamo che le imprese siano obbligate a pagare da meccanismi vincolanti e non aggirabili. Vogliamo che tra le risorse genetiche sottoposte a condivisione dei benefici rientrino anche le Digital Sequence Information (DSI), cioè le informazioni digitalizzate delle risorse genetiche, che oggi le imprese utilizzano per sfuggire al debito che hanno nei confronti delle contadine e dei contadini. Sostegnono si tratti di informazioni, non di materiale genetico, quindi che ad esse non possano applicarsi le norme del Trattato. Ovviamente questo è falso e per noi rappresenta un punto non negoziabile.