I cambiamenti delle iniziative solidali e collettive ai tempi della pandemia

In tempi di quarantena, di fasi 1 e fasi 2, in cui il cosiddetto distanziamento sociale ci impone di allontanarci gli uni dagli altri sorge spontaneo domandarci come si comportano i movimenti sociali. Lo scorso 2 aprile il Reasearch Committee on Social Classes and Social Movement (ISA RC47) ha organizzato un web seminar dal titolo “I cambiamenti delle iniziative solidali e collettive ai tempi della pandemia” in cui professori di sociologia e politica provenienti da diverse parti del mondo si sono interrogati sui cambiamenti nella solidarietà e nell’agire collettivo.

La professoressa di scienze politiche alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Donatella Dalla Porta, ha esposto quelle che secondo lei sono le sfide e le nuove opportunità offerte dalla diffusione della pandemia. La riduzione delle libertà, imposta dalla quarantena, si trasforma automaticamente in una riduzione di opportunità per i movimenti sociali. I discorsi e le narrative sono focalizzati sulla situazione di emergenza convogliando le emozioni verso una sensazione di paura, favorendo versioni del futuro distopiche.

Ma l’annientamento della normalità, causato dall’epidemia Covid-19, rileva anche nuove opportunità. Il primo elemento che la diffusione del virus ha evidenziato è la fondamentale e centrale importanza dei cittadini. Tutti i governi hanno attuato la misura della quarantena facendo dei cittadini e della loro responsabilità il primo strumento per combattere la diffusione del virus. Inoltre, si è subito evidenziato il bisogno di organizzare le comunità attivando reti sociali dal basso. In molti luoghi, la solidarietà si è costruita partendo dai singoli cittadini e in maniere davvero inedite. L’emergenza e le difficoltà hanno fatto scoprire nuove forme di condivisione e la necessità dell’azione collettiva ha ridato un valore al settore pubblico, mostrando allo stesso tempo la fragilità delle politiche economiche di privatizzazione neoliberiste applicate negli ultimi trent’anni.

Secondo la professoressa Dalla Porta, la diffusione del coronavirus offre l’opportunità di definire un cambio radicale di rotta nella definizione delle politiche pubbliche. Negli ultimi anni, i movimenti sociali hanno sempre evidenziato l’insostenibilità del sistema economico-produttivo dominante, rivendicando un cambiamento e mostrando delle vie alternative. La pandemia rende queste rivendicazioni una necessità. I movimenti sociali hanno dimostrato come le reti d’aiuto orizzontali siano, non solo un’alternativa, ma anche una realtà di fondamentale importanza nei momenti di crisi, soprattutto per le fasce più deboli. Ora i movimenti sociali hanno l’importante ruolo di mettere insieme la conoscenza data dall’esperienza con una conoscenza più pratica, producendo risposte politiche e connettendo tra loro i diversi tipi di crisi. La costruzione di un futuro utopico non è solo possibile ma è ora anche necessario.

Anche Breno Bringel, professore di sociologia all’Università di Rio de Janeiro in Brasile, concorda sull’immancabile opportunità di cambiamento sociale e riassume le cinque lezioni politiche che la diffusione del coronavirus ha reso visibili:

  1. La lotta contro l’antropocentrismo. La pandemia ha costretto l’uomo e le sue fabbriche a fermarsi, scoprendo così che poche settimane senza inquinamento abbiano dato la possibilità alla natura di respirare di nuovo. Non che bastino queste misure a riequilibrare secoli di sfruttamento della natura, ma il Covid-19 sembra ricordarci che, se non rimettiamo in seria discussione il nostro modo di produrre, non ci sarà più una terra per cui lottare.
  2. La centralità della cura. Da tempo, le lotte femministe sottolineano come il lavoro di cura sia un’attività totalmente sommersa e considerata alla stregua di un “dovere sociale” per molte donne. Oggi per la prima volta anche gli uomini sono costretti a stare a casa e quindi a collaborare al lavoro casalingo e alla cura della famiglia. L’inclusione degli uomini in queste attività potrebbe essere un punto di svolta per un radicale cambiamento dell’organizzazione e condivisione del lavoro di cura e casalingo.
  3. La difesa dei servizi pubblici. Il coronavirus ha reso lampante agli occhi di tutta la popolazione la necessità di costruire un servizio sanitario pubblico e universale. Ciò mette inevitabilmente in crisi la visione sempre più diffusa della privatizzazione dei servizi come via per una maggiore efficienza.
  4. La vita comunitaria. È sorprendente vedere come, nel momento in cui si è costretti all’isolamento e all’allontanamento dalle persone, si cerchino nuovi modi innovativi per sentirsi vicini gli uni agli altri. Si crea la necessità che il distanziamento sia dei corpi, in termini fisici, e non un vero e proprio distanziamento sociale.
  5. Il diritto al cibo. La crisi economica, conseguente a quella sanitaria, ha reso visibile come gran parte della popolazione sia vulnerabile sotto un punto di vista fondamentale per la vita: l’alimentazione.  Spesso si dà per scontato, ma la situazione che oggi viviamo è una presa di coscienza sull’importanza e allo stesso tempo sulla fragilità del diritto al cibo. Da un giorno all’altro molte famiglie si sono ritrovate nell’impossibilità di fare la spesa, vedendosi negare un diritto fondamentale per la sopravvivenza. Da molti anni i movimenti contadini protestano contro un sistema alimentare insostenibile e promuovono il diritto alla sovranità alimentare come alternativa. Oggi più che mai la popolazione inizia a pensare a che cosa e come viene prodotto il cibo che mangiamo e esprime il bisogno di ripensare il sistema alimentare in maniera ecologica, riallocando e ridistribuendo le risorse.

Il professor Bringel evidenzia come la crisi del Covid-19 vada nel profondo delle diseguaglianze create della nostra società rendedole ancora più visibili. Su questo tema si sviluppano anche gli interventi di Supurma Banerjee, Kate Alexander e John Krinsky che offrono un punto di vista più specifico su tre particolari contesti territoriali.

Supurna Banerjee, dottoranda in sociologia all’Istituto di Studi sullo Sviluppo di Kolkata in India, racconta come negli ultimi sei mesi in India le associazioni impegnate nei diritti umani e nella lotta per la democrazia abbiano subito delle notevoli restrizioni. Solitamente l’azione di questi movimenti vede migliaia di persone camminare nelle strade tenendosi per mano per formare catene umane, occupando spazi pubblici. La domanda a cui ora devono rispondere questi movimenti è: come poter continuare a costruire solidarietà restando nelle proprie case, in considerazione del fatto che in India l’attivismo digitale non è diffuso come un altri paesi.

Ma l’azione dei movimenti sociali è ora di fondamentale importanza, la crisi della salute pubblica ha reso le disuguaglianze della società indiana più evidenti che mai e il governo non è stato capace di prendere decisioni risolutive, rischiando di trasformare la crisi sanitaria in una vera e propria crisi umanitaria. Basti solo pensare al distanziamento sociale e al fatto che in molti paesi, tra cui l’India, questo è considerato un lusso, poiché le persone sono abituate a vivere in un contesto familiare molto ampio e spesso in spazi ridotti. Così come sono un lusso l’accesso alle cure sanitarie, ai test e all’acqua pulita.

In questa situazione di estrema emergenza i movimenti sociali hanno cercato di riorganizzarsi attraverso piccole azioni di solidarietà svolte nel vicinato. La dottoressa Banerjee riporta l’esempio delle cucine comunitarie, una delle più antiche forme di solidarietà della società indiana, in quanto lavare e cucinare insieme i piatti ha una speciale importanza nel combattere le differenze. Seguendo tutte le necessita di igiene e distanziamento, anche durante il coronavirus queste cucine sono espressione dell’aiuto collettivo: si preparano insieme i pasti da distribuire tra chi soffre la crisi alimentare. Le cucine comunitarie diventano luoghi di solidarietà sociale. Questo tipo di protesta difende i poveri e combatte contro una società gerarchica, mostrando un’alternativa di vita e condivisione, non solo in tempo di crisi.

Le disuguaglianze sono anche tra le maggiori sfide che dovrà affrontare il Sud Africa secondo Kate  Alexander, Professoressa di sociologia all’Università di Johannesburg. Qui infatti la maggior preoccupazione espressa dai movimenti sociali è la diffusione del virus nelle grandi baraccopoli, a causa delle scarse condizioni igieniche e dell’alta densità di popolazione. Il governo ha dimostrato di avere delle serie difficoltà ad affrontare la situazione: sono stati fatti molti annunci ma sono state portate avanti poche soluzioni reali. Come anche in altri paesi nel mondo, riuscire a dare una quantificazione reale della diffusione della pandemia è molto difficile a causa della difficoltà di svolgere i test in maniera diffusa. In Sud Africa, i tamponi spesso vengono fatti dalle cliniche private e quindi a fronte di costi molto alti, non accessibili a molte famiglie in condizioni di vulnerabilità.

Inoltre, tra la società civile sorgono timori riguardo all’uso della forza da parte della polizia. È fin troppo facile immaginare che una situazione di emergenza venga usata come pretesto per effettuare una militarizzazione del territorio. La professoressa Alexander racconta che la risposta e le proteste in Sud Africa sono state numerose, soprattutto quelle dei lavoratori, ma che si sono bloccate con la proclamazione del lockdown. Spesso i sindacati si sono mostrati poco coordinati e coesi nel cercare di dare una risposta all’emergenza. Una rivolta significativa è stata quella dei tassisti che hanno protestato per il drastico calo dei guadagni dovuto alla riduzione delle ore di lavoro e del numero dei passeggeri. Il governo ha deciso quindi di concedere loro dei fondi, ma senza provvedere, al contempo, a delle chiare misure di prevenzione dal contagio.

Per quanto riguarda le organizzazioni basate sull’attivazione della comunità, la più interessante è la People’s Coalition che opera a Città del Capo e in molte province più popolose del paese. La professoressa Alexander è responsabile dell’organizzazione dei gruppi di lavoro nelle comunità, in cui si cerca di mappare dove si trovano le persone in condizioni di fragilità per portare loro pasti caldi e dispositivi di protezione, come guanti e mascherine. Il problema maggiore è che un tale livello di mobilitazione non sarà sostenibile a lungo termine, soprattutto a causa della mancanza dei fondi.

L’aspetto delle disuguaglianze tra classi sociali non è una peculiarità del contesto indiano e sudafricano, ma è una linea che attraversa tutto il globo. John Krinsky, professore di scienze politiche presso il City College di New York, racconta come nel principale focolaio degli Usa la mappa dei test effettuati sulla popolazione sia speculare alla mappa delle disuguaglianze razziali e sanitarie della città. Il professor Krinsky, impegnato nei movimenti di lotta per la casa, ci ricorda di come sia difficile stare a casa quando non se ne ha una e le problematiche relative al distanziamento sociale dentro le celle delle prigioni.

Il lavoro dei movimenti per la casa si sta focalizzando su due fronti: l’impossibilità di molte persone di pagare l’affitto e la creazione di una rete di mutua assistenza di vicinato, in cui spicca il ruolo fondamentale delle coalizioni che difendono i diritti dei migranti. Risulta chiaro che, anche in contesti come La Grande Mela, la rete formata dai movimenti sociali e dalle organizzazioni non-profit rappresentino l’àncora della società.

Il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, contrasta ogni giorno gli annunci di Trump, arrivando a definire il pacchetto proclamato dal governo come “terribile”, in quanto favorirebbe le grandi multinazionali piuttosto che le piccole e medie imprese e i cittadini in difficoltà. Per questa ragione, il governatore ha proclamato un pacchetto di riforme che affianca molte lotte portate avanti dai movimenti sociali e dalle organizzazioni della società civile.

Ciò non significa che il neoliberismo è morto, ci dice il professor Krinsky, ma che sta perdendo presa sull’immaginario delle persone. Ma bisogna fare attenzione, il neoliberismo è uno zombie contro cui, ad oggi, i movimenti sociali non hanno un’alternativa coesa.

Geoffrey Pleyers, professore di sociologia presso l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, afferma che il momento attuale non è dei migliori per i movimenti sociali in quanto le dimostrazioni sono vietate e le persone guardano ai governi per ritrovare unità. Ciò ha permesso ai governi di tornare ad occupare il ruolo di attori centrali nella società e alcuni di loro sembrano avvicinarsi ai temi difesi dai movimenti sociali. Un esempio è Emmanuel Macron, il Presidente della Repubblica francese, che ha cominciato a parlare di sovranità economica e dei medici come eroi nazionali. Nei social media e nei giornali si leggono slogan come “Before Human than Capital”, ossia prima le vite umane del capitale, dimostrando una rinnovata sensibilità dell’opinione pubblica agli effetti del capitalismo sulle nostre vite.

Ciò però non deve troppo abbagliare, il professor Pleyers ricorda come, all’indomani della crisi del 2008, anche Sarkozy fece un discorso in cui condannava i grandi poteri della finanza e in qualche modo il sistema neoliberale. La realtà delle cose però poi si dimostrò di tutt’altro stampo. Infatti, la crisi economica portò in Europa il più grande pacchetto di restrizioni alla spesa pubblica mai esistito. Ciò che quindi bisogna imparare è che la retorica da sola non può bastare. I movimenti sociali sollevano questioni di fondamentale importanza, come lo fecero nel 2008, ma è necessario che alle proposte seguano delle politiche che siano attuabili e che possano davvero segnare un cambiamento.

Inoltre, c’è un altro punto che il professor Pleyers vuole sottolineare, ed è quello del significato che si vuole dare a questa crisi. Non bisogna dimenticare che, in un momento storico come quello attuale, i movimenti dal basso possono creare narrazioni molto contrastanti tra di loro. Basti pensare alla crescita di tutti i populismi di destra per rendersi conto di come la presa sulle persone possa assumere significati e valori molto differenti. Per questo motivo è fondamentale chiedersi chi impatta questa crisi, in che maniera la impatta e soprattutto il significato che si vuole dare al cambiamento della democrazia nel futuro.

A fronte di tali considerazioni, tanto più risulta rilevante continuare a mobilitarsi nonostante il periodo di pandemia. Anche se siamo costretti a restare chiusi nelle nostre case, possiamo lo stesso riuscire a far sentire la nostra voce. Questo è lo slogan lanciato dal movimento contadino La Via Campesina “Stay Home But Not Silent”, Stai a Casa Ma Non in Silenzio. La campagna chiede di non rimanere fermi e di portare avanti lotte creative dalle nostre case, costruendo bandiere e striscioni, aiutando il vicinato, impegnandoci a consumare cibo dalle cooperative e dalle comunità contadine locali.

Questa crisi ci sta insegnando che abbiamo bisogno di costruire reti alimentari alternative, che partano dal locale, siano diversificate, resistenti e rispettino i limiti della natura. L’agricoltura industriale ha dimostrato di essere un pericolo non solo per l’ambiente ma anche per la salute dell’uomo. Crocevia, come sempre, è al fianco dei movimenti contadini nel mondo per continuare a promuovere la sovranità alimentare come via che gli Stati devono intraprendere al fine di garantire cibo nutriente e sano per tutte e tutti.

Autrice: Viola Taormina

Editing: Eleonora Mancinotti

Web Content Editor: Marco Galluzzi