Fenomeno figlio della società del consumo, lo spreco alimentare è una problematica ancora troppo diffusa. Una giornata nazionale ci ricorda l’importanza della lotta contro lo sperpero di cibo, a favore della tutela dell’ambiente, delle risorse e del valore intrinseco del cibo stesso. La Giornata Nazionale Contro lo Spreco Alimentare è stata istituita il 5 febbraio 2014 dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con la campagna Spreco Zero e l’Università di Bologna. Ma vediamo un po’ che cosa ci dicono i dati, che purtroppo sono ancora oggi ben poco rassicuranti.
Circa 1/3 di tutto il cibo prodotto va perso o sprecato come rifiuto, per un valore di 2600 miliardi di dollari. Secondo il rapporto lanciato dalla FAO, dal titolo Lo Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura 2019, “a livello globale circa il 14% degli alimenti va perso o sprecato dopo il raccolto e ancor prima di arrivare alla vendita al dettaglio, nel corso delle operazioni svolte nelle aziende agricole, in fase di stoccaggio e durante il trasporto”. Le cause sono diverse quali ad esempio tecniche e attrezzature inadatte, capacità gestionali carenti e, ancora, cattive condizioni metereologiche o eccesso di scorte.
A livello nazionale, stando ai dati del progetto 60 Sei ZERO, realizzato dall’Università di Bologna, lo sperpero alimentare in Italia equivale a oltre 15 miliardi di euro, di cui circa 12 a livello domestico e i restanti 3 lungo la filiera alimentare. Un altro dato interessante è quello presentato dall’indagine Waste Watcher, secondo cui il 57% dello spreco domestico è causato dall’eccesso di acquisti o di offerte, il che conferma l’influenza di modelli culturali ed economici fondati sulla sovrabbondanza di offerta e di consumo, tipici dei nostri sistemi agroalimentari industriali.
Ma le ripercussioni negative dello spreco alimentare non si fermano al livello economico. È risaputo che il sistema agroindustriale è causa di sovrapproduzione, inquinamento e degradazione degli ecosistemi naturali con un’impronta ecologica dello spreco che impiega un terzo di tutte le risorse naturali generate ogni anno nel mondo. Considerando infatti, oltre ai rifiuti, anche gli sprechi costituiti dalla sovralimentazione e dalle perdite edibili negli allevamenti, lo spreco arriva ad almeno il 50% della produzione mondiale. La risposta a questa problematica, che trova ancora oggi poco spazio, è la promozione della sovranità alimentare.
Come si legge nel rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) del 2018 sullo spreco alimentare, la più efficace misura di prevenzione è la “riorganizzazione dei sistemi alimentari sulla base di sovranità e autonomie locali tra loro coordinate”. La sovranità alimentare offre di fatto la strategia per smantellare il sistema agroalimentare dominante, dimostratosi fallimentare, creando un’alternativa che mette al centro non più le esigenze del mercato, ma quelle delle popolazioni locali. La sovranità alimentare si basa infatti sul diritto di ogni popolo di occuparsi della propria alimentazione e scegliere liberamente e democraticamente il tipo di agricoltura che intende perseguire, soddisfacendo i fabbisogni alimentari interni. Invece, la finanziarizzazione globale e lo spreco nel Nord del mondo creano vulnerabilità nel Sud. Secondo la strada tracciata dal rapporto ISPRA, è necessario incentivare non solo la rilocalizzazione dei sistemi alimentari, ma anche la produzione agroecologica di piccola scala, la dieta a base vegetale, la salute riproduttiva, la filiera corta e l’economia solidale che spreca un ottavo di quella convenzionale.
Alcune ricerche dimostrano che i sistemi agroecologici e di piccola scala producono da 2 a 4 volte meno sprechi rispetto ai sistemi agroindustriali, consumando molte meno risorse, grazie anche ad una rigenerazione interna e quasi-circolare delle stesse. Le pratiche agroecologiche sono di fatto molto più resistenti di fronte a malattie o avversità climatiche, poiché basate su una produzione diversificata e sostenibile. La gestione agroecologica dei suoli garantisce inoltre la loro fertilità per periodi più lunghi rispetto ai metodi convenzionali e, quindi, una produzione maggiore e più stabile nel medio-lungo periodo.
Per di più i principi dell’agroecologia prevedono un rapporto diretto tra produttori e consumatori che permette una gestione più efficiente dei prodotti: meno intermediari ci sono, minori sono i passaggi dei prodotti alimentari e maggiori sono le possibilità di ridurre notevolmente lo spreco. Questo contatto umano permette inoltre una maggiore sensibilizzazione riguardo alla tematica, favorendo comportamenti più responsabili, come può essere il ribellarsi a inutili canoni estetici e scegliere di comprare proprio quella carota un po’contorta che verrà probabilmente scartata dai più e infine gettata.
Alcuni segnali sono promettenti, come l’obiettivo 12.3 degli SDG, Sustainable Development Goals, che invita tutte le nazioni a dimezzare gli sprechi alimentari e ridurre la perdita di cibo entro il 2030. Inoltre, lo scorso anno, la FAO ha adottato una risoluzione che designa il 29 settembre come Giornata Internazionale di Consapevolezza sulle Perdite e gli Sprechi Alimentari per attirare l’attenzione sulla necessità di ridurre le perdite e gli sprechi alimentari al fine di contribuire allo sviluppo sostenibile.
Ma la domanda che dobbiamo porci a questo punto è: siamo disposti come cittadini, a mettere radicalmente in discussione il nostro rapporto con il cibo? In ballo non c’è solo lo spreco in sé, ma la sicurezza alimentare di altre persone, i cambiamenti climatici, la tutela delle risorse e della biodiversità di questa Terra che, bisogna dirlo, merita un po’ più di riconoscenza.
Per approfondimenti:
Giulio Vulcano, “Stiamo divorando la terra”, 21/03/2019
Giulio Vulcano, “Food wastage. Systemic approach and structural prevention.”, 04/06/2018
Autrice: Ilaria Motta
Editing: Giulio Vulcano
Web Content Editor: Eleonora Mancinotti