A causa del blocco parziale o totale dei movimenti e delle attività che dalla fine di marzo ha coinvolto più di 3 miliardi di persone[1] in tutto il mondo, si è assistito ad un rallentamento della produzione e della distribuzione dei prodotti dei piccoli produttori, mentre si è intensificata quella della grande distribuzione. In molte parti del mondo ha comunque reso più complesso l’approvvigionamento degli stessi, a partire da quelli alimentari.
Il 21 aprile scorso David Beasley, Direttore Esecutivo del Programma Mondiale di Alimentazione delle Nazioni Unite, durante la sessione virtuale del Consiglio di sicurezza dell’ONU sul mantenimento della pace e della sicurezza internazionale: Protezione dei civili colpiti dalla fame indotta dal conflitto, ha espresso grande preoccupazione per il futuro della popolazione mondiale, sottolineando come la pandemia potrebbe raggiungere dimensioni catastrofiche. Alle 821milioni di persone che già prima della diffusione del virus soffrivano situazioni di grave scarsità alimentare e alle 135milioni di persone che potevano considerarsi al limite della povertà alimentare, se ne potrebbero aggiungere altre 130milioni entro la fine del 2020, per un totale di 265milioni di persone che non potranno nutrirsi a livello mondiale.
In questa prospettiva di grave crisi umanitaria è ancora più evidente l’urgenza di cambiare strutturalmente gli attuali sistemi alimentari attraverso politiche internazionali e la loro implementazione a livello locale.
Quando le Nazioni Unite decisero che il 2014 sarebbe stato l’anno dell’Agricoltura Familiare, vollero anche porre in risalto il ruolo di fondamentale importanza silenziosamente adempiuto dai produttori di alimenti di piccola scala e a conduzione familiare[2]. È stato messo in evidenza come, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, più di 500 milioni di aziende agricole, ovvero nove su dieci, sono gestite da famiglie, rendendo le aziende agricole a conduzione familiare la forma di agricoltura predominante. Non solo producono circa l’80% del cibo a livello globale, ma fungono anche da custodi di circa il 70-80% dei terreni agricoli.
Le sementi sono la base, il punto di partenza della produzione alimentare, per questo è necessario sottolineare l’esistenza di diversi sistemi sementieri e, in una fase storica in cui il numero degli affamati potrebbe crescere a dismisura, supportare coloro che producono alimenti attraverso sistemi sostenibili e resilienti.
Il sistema alimentare contadino si è fondato su una naturale evoluzione e adattamento delle sementi ricondotta anche ad un processo collettivo di miglioria avvenuto attraverso millenni di pratiche contadine fondate sull’autoproduzione, la selezione, la conservazione e lo scambio delle sementi. Questo sistema è oggi messo fortemente in pericolo da politiche sovranazionali e nazionali che intaccano profondamente i diritti dei contadini sulle sementi e che di contro favoriscono fortemente l’oligopolio delle multinazionali sementiere. Si pensi che oggi il 63% del mercato delle sementi e il 75% di quello degli agrofarmaci è concentrato nelle mani di sole tre multinazionali: Bayern, ChemChina e la DowDuPont.
La Convenzione UPOV, Unione Internazionale per la Protezione delle Nuove Varietà Vegetali[3] e le legislazioni nazionali che prevedono i registri delle varietà, limitano fortemente le libertà dei contadini nel gestire le sementi rendendoli obbligatoriamente dipendenti dal sistema industriale per l’approvvigionamento di materiale riproduttivo, favorendo quindi lo sviluppo delle grandi multinazionali. Le sementi industriali hanno in realtà creato un mercato che ha omogeneizzato e monopolizzato le sementi, fissando degli standard per la commercializzazione delle sementi che esclude di fatto le sementi del sistema contadino. I contadini e i produttori di piccola scala sono quindi esclusi dai canali commerciali normali, ma dovrebbero avere i loro canali commerciali di scambio da agricoltore ad agricoltore, così come definito dal diritto internazionale.
L’industria sementiera non solo impone ai contadini una forte dipendenza dai propri prodotti, ma ne limita anche la scelta. L’industria, infatti, concentra le sue produzioni sulle varietà più facilmente vendibili sul mercato, escludendo così la possibilità di produrre alimenti diversificati e localmente adatti. La Via Campesina considera che ben ¾ della diversità biologica delle sementi sia già scomparsa.
I dati della FAO ci indicano che il 75% del cibo consumato a livello globale proviene da sole 12 piante e 5 specie animali. La grande perdita di biodiversità agricola è anche diretta conseguenza di un sistema sementiero che impone solo alcune varietà di piante perché più commercializzabili rispetto ad altre. Ciò rende ancora più vulnerabili i contadini: coloro che hanno poche varietà nelle proprie coltivazioni, in caso di danni alle stesse, saranno meno resilienti. Per questo motivo, un sistema sementiero contadino vario e biodiverso che si traduca anche in differenti coltivazioni è necessario e molto più resiliente in considerazione dei frequenti e violenti episodi climatici che ogni anno colpiscono coltivazioni in tutto il mondo. I contadini hanno il diritto di avere la scelta di utilizzare sementi industriali o contadine a seconda della necessità, ma purtroppo, sempre di più le leggi favoriscono la commercializzazione delle prime e ne vietano lo scambio e la vendita delle altre.
Avere una vasta agrobiodiversità è inoltre fondamentale per evitare gravi shock alimentari nel caso di malattie pandemiche delle piante e funghi. Celebre in tal senso è l’esempio della banana, di cui esistono più di mille varietà nel mondo ma solo una decina sono conosciute e consumate globalmente. Il rischio, per altro già realizzatosi[4], di gravi estinzioni di massa di varietà vegetali perché geneticamente identiche e che quindi non hanno adattato ed evoluto i loro tratti genetici di difesa verso agenti aggressivi è una diretta conseguenza dell’uso estensivo di sementi industriali e della perdita di biodiversità che queste comportano. Le pandemie colpiscono non solo le persone ma anche le piante con la stessa intensità e distruzione. Pertanto, una resiliente agrobiodiversità è l’unica soluzione per assicurare la sicurezza alimentare a livello globale.
Nonostante ora ci siano le condizioni e l’urgenza per riconoscere e distinguere il sistema sementiero contadino da quello industriale, sottolineando il ruolo che le sementi contadine hanno nella conservazione dell’agrobiodiversità globale e nel raggiungimento della sicurezza alimentare, pare che ci si muova ancora in direzione opposta. Infatti, il settore dell’industria sementiera chiede, attraverso un comunicato diretto ai paesi firmatari dell’UPOV, di accelerare i processi di registrazione delle varietà ed abbassare le tasse dovute per la domanda di registrazione.
Il virus Covid-19 ha rapidamente messo in ginocchio un modello economico insostenibile, basato sull’interdipendenza dei produttori di alimenti verso grandi industrie e imprese multinazionali che, alla base del loro modus operandi, perseguono interessi che si realizzano esclusivamente al venir meno dell’autonomia e della libera scelta delle persone, in uno sbilanciato rapporto di dipendenza tra le parti.
Non è questo il modello che salverà milioni di persone dal soffrire la fame: serve un approccio all’agricoltura radicalmente differente, che miri non più solo alla sicurezza alimentare ma alla sovranità alimentare, quindi la libera scelta dei popoli di cosa e come produrre, ridando potere ai contadini sulle proprie terre. Tale approccio si realizza attraverso una produzione fondata sull’agroecologia, che conservi e rafforzi la preziosa agrobiodiversità delle diverse regioni del mondo e che garantisca i diritti umani di tutti i lavoratori e le lavoratrici della terra, compreso il diritto alle sementi, come anche previsto nel Trattato FAO sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura all’articolo 9 e nella recente Dichiarazione dei diritti dei contadini e le altre persone che lavorano nelle aree rurali.
Per approfondimenti:
Per cambiare il mondo dobbiamo incentivare le pratiche dei Popoli Indigeni e dei contadini Centro Internazionale Crocevia, 28/11/2019
Come prendere in giro i contadini e i consumatori. Non è solo politica, è anche dolore e pena. Centro Internazionale Crocevia, 25/11/2019
Il fallimento del multilateralismo all’Organo direttivo del Trattato Internazionale sulle Sementi Centro Internazionale Crocevia, 22/11/2019
Il Trattato che protegge i Diritti dei Contadini rischia il collasso Centro Internazionale Crocevia, 29/10/2019
L’occasione dei governi occidentali di evitare i brevetti sulle Sementi Contadine è stata rimandata Centro Internazionale Crocevia, 26/06/2019
Autrice: Mariapaola Boselli
Editing: Stefano Mori, Eleonora Mancinotti
Web Content Editor: Marco Galluzzi
[1] Secondo l’Agenzia di Stampa Francese (AFP) ben il 43% della popolazione della terra (stimata in 7,79 miliardi) si trova in condizioni di limitazione dei movimenti e delle attività;
[2] La definizione di Agricoltura Familiare fornita dalla FAO è la seguente: “L’agricoltura familiare è un mezzo per organizzare la produzione agricola, forestale, ittica, pastorale e dell’acquacoltura che è gestita da una famiglia e che dipende prevalentemente dal lavoro familiare, sia quello femminile che quello maschile. La famiglia e l’azienda agricola sono legate, coevolvono e combinano funzioni economiche, ambientali, riproduttive, sociali e culturali”.
[3] La Convenzione UPOV è stata adottata il 2 dicembre 1961 a Parigi ed è entrata in vigore il 10 agosto 1968. La Convenzione UPOV è stata riveduta il 10 novembre 1972, il 23 ottobre 1978 e il 19 marzo 1991, al fine di riflettere gli sviluppi tecnologici nel settore del miglioramento genetico delle piante.
[4] La banana Gros Michel fu tra le varietà del frutto più vendute, frutto di una clonazione di una varietà sterile di banana selezionata nei millenni. Questa varietà, scoperta nel 1820, è oggi a noi sconosciuta perché scomparsa. Essendo tutte le coltivazioni di Gros Michel geneticamente identiche, un fungo del terreno chiamato “Panama desease” sterminò tutte le coltivazioni esistenti senza che le piante riuscissero a sviluppare tratti di resistenza essendo queste sterili; migliaia di campesinos furono obbligati a spostarsi per cercar nuovi terreni, patendo le conseguenze di tale malattia. Verso il 1950 venne annullata la produzione e, dato che nessun contadino aveva la richiesta di coltivarla, questa varietà è considerata virtualmente estinta. Si teme ora che la successiva varietà di banana entrata nel mercato, la Cavendish, possa fare la stessa fine della della Gros Michel, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone. Da Bryan P. Bergeron, “Case Studies in Genes and Disease: A Primer for Clinicians”, pag. 184, ACP Press, 2004.