I nodi vengono al pettine. Dopo i ritardi di avvio, ora che la Pac 2014-20 entra a regime, ci si rende meglio conto dell’estrema complessità della macchina che è stata messa in piedi. Il compromesso trovato a Bruxelles nel 2013, reso più intricato dalle decisioni degli Stati membri, ha creato un mostro ingestibile, inefficiente e iniquo. Che non aiuta gli agricoltori con i problemi che hanno e sciupa danaro pubblico per obiettivi non chiari. Ci riferiamo in primo luogo alla scelta di lasciare i pagamenti diretti al centro della Pac, e poi al loro “spacchettamento” in un sistema di varianti, eccezioni, deroghe dove la ratio si perde.
È così che da più parti si (ri)parla di riforma. Nel recente Consiglio agricolo informale di Amsterdam, la presidenza semestrale olandese ha presentato un documento con una serie di indirizzi chiave su come cambiare la Pac: (a) estenderla ad una politica agricola e alimentare comune; (b) accrescere i fondi per l’innovazione e l’informatizzazione ben oltre l’attuale dotazione; (c) ampliare la proiezione ambientale della Pac favorendo la transizione a tecniche sostenibili e climate smart; (d) rafforzare la posizione degli agricoltori nella catena alimentare; (e) accrescere la compatibilità della Pac nei rapporti con il resto del mondo, in primis con i Pvs.
A quel vertice la Francia ha portato un suo contribuito [link] che propone una Pac su tre Assi: il primo per la crescita, il lavoro e la competitività, orientato a innovazione, digitalizzazione, formazione, ringiovanimento, diversificazione; il secondo per i beni pubblici ambientali e per i territori specie quelli con handicap naturali; il terzo per la “resilienza” in cui si propone che parte del budget dei pagamenti diretti possa essere forzosamente risparmiata negli anni favorevoli per attivare una Pac anticiclica compatibile con l’annualità del bilancio.
Questa posizione riflette un precedente appello di cinque eurodeputati del gruppo socialista e democratico [link]. Giudicando che “quando una politica non ha raggiunto i suoi obiettivi, bisogna cambiarla”, il documento afferma: “l’Unione europea è sola a basare la sua politica agricola su sostegni disaccoppiati (…). Le politiche agricole dei grandi paesi produttori (Usa, Brasile, Canada, Cina …) hanno messo a punto dispositivi che mirano a stabilizzare i prezzi e i volumi d’affari”.
Il recentissimo risultato del referendum sulla Brexit rende ancor più evidente quanti rischi corra quel progetto di Europa unita che i padri fondatori dell’UE concepirono a Ventotene e uscendo poi dalla guerra. La Pac è stata e deve tornare ad essere uno dei pilastri di quella costruzione. Quella attuale centrata sui pagamenti diretti è un assist agli euroscettici.
Questo numero di Agriregionieuropa è dedicato al tema delle Aree interne e della strategia in loro favore avviata nel nostro Paese dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica del Ministero dell’Economia, per orientare la programmazione comunitaria 2014-20. La raccolta è stata coordinata da Francesco Mantino e Sabrina Lucatelli.
Una seconda parte organica del numero è dedicata al tema dell’agricoltura contadina con particolare riferimento alle proposte di legge presentate da vari gruppi politici a seguito della campagna popolare avviata nel 2009. Essa è stata coordinata da Alessandra Corrado, Isabella Giunta e Annamaria Vita.
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