Come facilmente prevedibile dopo il primo turno elettorale, il popolo brasiliano ha per la prima volta eletto liberamente un presidente appartenente all’estrema destra e, dallo scorso 28 ottobre, Jair Bolsonaro è il nuovo presidente del Brasile. Già ribattezzato “Tropical Trump”, il nuovo presidente del quinto paese più grande del mondo per territorio e popolazione da tempo preoccupa il mondo intero con le sue dichiarazioni controverse.
Utilizzando sempre lo stesso slogan, ormai ritornello degli estremismi di tutto il mondo, Bolsonaro vuole “fazer esse Brasil grande”, con le solite fallimentari ricette neoliberali accompagnate da un ostentato spirito dittatoriale che a molti ricorda quello del generale Pinochet.
Durante la campagna elettorale il neo presidente Bolsonaro ha rilasciato in diverse occasioni dichiarazioni profondamente razziste, omofobe, sessiste e violente ed ha espressamente dichiarato di voler adottare provvedimenti discriminatori e repressivi nei confronti di oppositori, come il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST) e il Movimento dos Trabalhadores Sem Teto (MTST), e minoranze, come le popolazioni indegene.
I piani di Jair Bolsonaro in tema ambientale ed agricolo confluiscono quindi all’interno di un grande progetto volto a privilegiare in ogni modo il capitale e chi lo possiede.
Le premesse erano chiare: inizialmente (potrebbero esserci cambiamenti) si ventilava l’ipotesi di eliminare il ministero dell’ambiente facendolo confluire in quello dell’agricoltura. In un paese come il Brasile, considerato come “megadiverso” per l’inestimabile patrimonio di biodiversità animale e vegetale, l’ambiente dovrebbe godere di tutele e garanzie tali da permetterne la piena conservazione.
Secondo Fabio de Castro, antropologo specializzato in materia ambientale e professore all’Università di Parigi, la fusione dei due ministeri è parte di una narrazione semplicistica che punta allo smantellamento istituzionale della questione ambientale e dei movimenti sociali.[1]
Un provvedimento del genere non può in nessun caso portare conseguenze positive partendo dal probabile taglio a bilancio delle politiche ambientali. Inoltre, per stessa dichiarazione dell’-allora- candidato, il futuro ministro dell’agricoltura apparterà al settore produttivo e, di certo, difficilmente anteporrà gli interessi ambientali e il rispetto dei diritti umani agli interessi economici. Verranno promossi gli interessi dei grandi latifondisti posseditori di grandi terreni e aziende a discapito dei diritti di contadini e popolazioni indigene. Un provvedimento del genere è un esplicito regalo alle grandi aziende dell’agribusiness che amplieranno i loro possedimenti terrieri invadendo terre indigene e distruggendo interi ecosistemi.
Verranno promosse le grandi monocolture intensive causando ulteriori perdite di biodiversità, impoverendo i terreni favorendone l’erosione e aumentando considerevolmente l’inquinamento prodotto dall’agricoltura uscendo così dagli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi.
Anche se Bolsonaro si è espresso con toni molto duri verso il grande mercato globale –in linea con il suo spirito nazionalista- se non vi sarà più un vero ministero dell’ambiente e se il ministero dell’agricoltura verrà dato in mano ad un imprenditore è molto probabile che le multinazionali si trovino ad avere carta bianca con tutto ciò che ne consegue sul piano ambientale, sociale ed economico. È inoltre certo che il grande mercato internazionale godrà del pieno supporto del nuovo ministro da Fazenda (ministero dell’economia), l’ultraliberale purista Paolo Guedes, professore di economia formatosi a Chicago, con una lunga carriera accademica e professionale nel mondo dell’economia e molto apprezzato dalla finanza internazionale.
Guedes, nonostante vi siano evidenti differenze di pensiero con il presidente neo eletto, ha già ben delineato le caratteristiche principali delle azioni che in futuro verranno intraprese a livello economico: via libera ai grandi investimenti esteri, cessione dei beni pubblici e privatizzazioni. Non è necessario conoscere le pieghe recondite dell’economia e della società brasiliana per capire che misure di questo genere possono solo portare ad un aumento incontrollato della povertà e della criminalità che da sempre l’accompagna. In un paese in cui, nonostante la vastità dei territori, migliaia di persone non sono in grado di produrre cibo autonomamente e vivono in condizioni di profonda indigenza a causa della concentrazione delle terre nelle mani di pochi grandi proprietari è evidente che cessione in massa di beni pubblici e privatizzazioni andranno a riempire le tasche già colme dei grandi latifondisti e delle multinazionali
Paulo Guedes ha anche proposto di riformare l’attuale sistema pensionistico pubblico per trasformarlo in un regime di capitalizzazione o a singole quotazioni in cui lo stato non ha nessun ruolo e i lavoratori versano autonomamente i propri risparmi a fondi pensionistici privati. Un modello simile a quello del Cile, dove Guedes svolse il ruolo di professore universitario negli anni ’80, durante la dittatura di Augusto Pinochet (1973-1989). Pare opportuno sottolineare che la riforma pensionistica cilena che instaurò tale modello pensionistico avvenne durante gli anni della feroce dittatura di Pinochet, noto per essere estimatore delle politiche neoliberali targate USA che costarono però al Cile gravi conseguenze, sia sul piano economico che sociale.
Come se ciò non bastasse, è intenzione di Bolsonaro eliminare la Lei 6001/73 – Estatuto do Índio, Decreto n.º1775/96, la legge che oggi tutela i territori indigeni e i suoi abitanti. Certo ha dei limiti costituzionali da rispettare, è però indubbio che la sua volontà sia quella di togliere qualsiasi status che comporti particolari tutele a minoranze e che per questo pongano limitazioni all’economia. Il presidente in Amazzonia vede grandi centrali idroelettriche sui fiumi sacri agli indigeni, vede una grande autostrada che taglia a metà la più ricca foresta al mondo e pascoli e terreni coltivati ai suoi lati; di fatto gli indigeni per Bolsonaro e l’agribusiness rappresentano un problema.
Migliaia di persone subiranno violazioni dei diritti umani fondamentali. Eliminando le aree protette che di diritto sono proprietà degli indigeni questi si vedranno togliere le terre nella complicità dello stato. Vi sarà il serio rischio che gli indigeni, i contadini e le popolazioni locali originariamente stanziati in quei territori si trovino a dover subire forti repressioni in caso di ribellione o condizioni di lavoro assimilabili alla schiavitù in caso si accetti che permangano nei territori a loro sottratti.
Anche se pare una lista senza fine, è doveroso aggiungere che Jair Bolsonaro ha affermato che, se eletto, catalogherà come “organizzazioni terroristiche il Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST) e il Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) . Il MST e l’MTST sono movimenti emersi rispettivamente nel 1984 e nel 1997 per promuovere la riforma agraria e la riforma urbana per risolvere il grande problema della concentrazione delle terre in mano di pochi grandi latifondisti e liberare terre coltivabili che potrebbero dare lavoro a migliaia di persone. Questi movimenti sociali da anni lottano per ottenere questa riforma, promessa da Lula nel 2003 e mai realizzata. Oggi Bolsonaro vuole criminalizzare questi movimenti rendendoli illegali e punibili con pene gravi e limitative della libertà personale.
Se si considera inoltre che secondo la Commissione pastorale agraria nel 2017 in Brasile il numero di morti nei conflitti agrari è cresciuto del 15% rispetto all’anno precedente (ci sono stati 70 omicidi, il numero più alto dal 2003[2]) e che nel 2017 gli attivisti per l’ambiente e i diritti umani uccisi sono stati 57 (numero più alto alto a livello mondiale)[3] il criminalizzare i movimenti sociali porterà ad un escalation di violenze sia da parte dello stato che da parte del “mercato” che si sentirà legittimato a sedare con la forza eventuali residui di resistenza civile.
Pare arrivino tempi duri in Brasile ora che ha deciso di seguire la scia occidentale delle derive nazionaliste di estrema destra. Ci auguriamo che la comunità internazionale, nell’interesse dell’umanità intera, vegli sull’operato del neo presidente e dei suoi ministri e ponga i necessari limiti se e quando si renderà necessario. Bolsonaro ha più volte in questi mesi richiamato il principio della sovranità dello stato per legittimare le sue varie intenzioni politiche; è doveroso però ricordare che anche la sovranità statale conosce limiti e sono quelli –seppur incerti- del diritto internazionale, posti allo scopo di garantire la coesistenza tra stati e il rispetto dei diritti umani.
Photo credits: Mariapaola Boselli
[1] http://amazonia.org.br/2018/10/as-ameacas-de-bolsonaro-ao-papel-central-do-brasil-no-meio-ambiente/
[2] https://oglobo.globo.com/brasil/assassinatos-em-conflitos-de-terra-subiram-15-em-2017-diz-relatorio-22709376
[3] Report “¿A qué precio?” dell’Ong Global Witness, 2018