Foto di IISD/ENB | Mike Muzurakis
La settimana scorsa, nel Quartier Generale della FAO a Roma, il Centro Internazionale Crocevia ha partecipato a quella che doveva essere la riunione chiave e definitiva per il futuro del Trattato sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura (in seguito “Trattato”): la discussione sulla regolamentazione del Sistema Multilaterale per l’Accesso alle Risorse Fitogenetiche. Gli esperti dei governi, della società civile (organizzazioni di contadini e ONG) e del settore privato (associazioni che sostengono gli interessi delle industrie sementiere come Bayer o Syngenta) si sono confrontati sulla regolamentazione dell’accesso alle sementi conservate dai contadini sul proprio campo (la cosiddetta conservazione on farm[1]) da parte degli istituti di ricerca e dell’industria.
Secondo il Trattato, infatti, chi conserva le risorse fitogenetiche – ossia le sementi – e chi le vorrebbe utilizzare per fini di ricerca o per fini commerciali devono stipulare un contratto chiamato Accordo Standard di Trasferimento di Materiale (Standard Material Transfer Agreement) il quale definisce il costo per l’utilizzo – che andrà al Fondo di Condivisione dei Benefici (Benefit Sharing Fund) – e le condizioni per l’utilizzo, così da preservare le comunità di contadini che vivono grazie a certe varietà di sementi.
Dopo sei anni di lavoro di questo gruppo di esperti, ancora non si riesce a definire nei dettagli l’accordo. I paesi occidentali e i cosiddetti paesi in via di sviluppo si scontrano da anni su questo tema. I primi, che difendono gli interessi delle industrie sementiere internazionali, vorrebbero ottenere un accordo molto semplice che faciliti l’accesso alle risorse fitogenetiche e che possa aprire le porte anche ai diritti di proprietà intellettuale oppure ai diritti di protezione vegetale previsti dall’UPOV. I secondi puntano a salvaguardare le comunità di contadini e le popolazioni indigene, poiché la maggior parte delle risorse fitogenetiche – ancora non registrate da nessun catalogo UPOV – sono conservate sui campi e rappresentano una fonte di grande interesse per le multinazionali sementiere.
Crocevia ha seguito attentamente la riunione, sostenendo Guy Kastler, contadino francese del sindacato della Confederation Paysanne, in rappresentanza della Via Campesina, presente in quanto esperto. I rappresentanti dei governi dei paesi più ricchi hanno spinto per uno stallo e per mantenere la situazione attuale, la quale fondamentalmente non è regolamentata ed ogni stato gestisce l’accesso alle risorse fitogenetiche come più gli conviene. Invece, i paesi latinoamericani e africani si sono espressi per un Accordo Standard sul Trasferimento del Materiale quanto più dettagliato possibile al fine di proteggere la ricchezza delle risorse fitogenetiche – gestite dagli agricoltori – dalla minaccia dei Diritti di Proprietà Intellettuale.
Il Gruppo di Lavoro su Biodiversità Agricola del Comitato Internazionale di Pianificazione per la Sovranità Alimentare (di cui Crocevia supporta il lavoro) crede che il diritto degli agricoltori di conservare, usare, scambiare e vendere le proprie sementi debba sempre essere garantito. Qualsiasi limitazione a tale accesso o a tali diritti è contraria agli obiettivi del Trattato. Il miglioramento del funzionamento del Sistema Multilaterale aiuterà a garantire tali diritti, sebbene non possa assicurare la corretta attuazione degli stessi poiché ciò rientra nelle competenze nazionali. In particolare, il Sistema Multilaterale dovrebbe:
- Vietare ai beneficiari che accedono alle risorse fitogenetiche del Sistema Multilaterale di rivendicare i Diritti di Proprietà Intellettuale. Attualmente, infatti, le industrie sementiere sono in grado di raggirare il Sistema Multilaterale. Nonostante un’impresa sia obbligata a riconoscere di aver utilizzato le risorse fitogenetiche del Sistema Multilaterale, può comunque depositare un brevetto su una caratteristica della semente, senza che il Trattato possa impedirlo. L’unico obbligo vieta che il brevetto limiti l’accesso facilitato per la ricerca, la selezione o la formazione, come ad esempio il nuovo brevetto unitario europeo. I brevetti presentati possono quindi limitare l’accesso, lo scambio o la vendita di sementi e piantine. Infatti, gli agricoltori che hanno selezionato e salvato le proprie sementi o piante non sono più autorizzati a coltivarle, scambiarle o venderle non appena una delle loro caratteristiche è stata brevettata. Per queste ragioni, il Sistema Multilaterale dovrebbe chiarire il fatto che niente può limitare i diritti degli agricoltori sulle risorse fitogenetiche che sono dentro l’Annesso I del Trattato.
- Eliminare la possibilità che le industrie sementiere accedano alle sementi senza versare un corrispettivo in denaro al meccanismo per la condivisione dei benefici. L’attuale meccanismo che prevede un contributo economico volontario deve essere sostituito da un pagamento annuo obbligatorio proporzionale al fatturato delle vendite di sementi o piantine delle specie elencate nell’allegato 1 del Trattato. La vendita di sementi o piantine che non sono soggette ad alcun diritto di proprietà intellettuale, ad altri obblighi legali o contrattuali o a restrizioni tecnologiche che ne limitano il libero uso e il riutilizzo da parte degli allevatori e degli agricoltori, dovrebbe essere esclusa dal calcolo dei pagamenti. Queste sementi sono le uniche che favoriscono il rinnovamento della biodiversità coltivata permettendo agli agricoltori di riutilizzare ogni anno parte del raccolto come sementi per sviluppare nuove caratteristiche che si adattino alla diversità delle condizioni di coltivazione e ai cambiamenti climatici. Ciò consente il rispetto dei diritti degli agricoltori ed è l’unica forma accettabile di condivisione dei benefici non monetari.
- Implementare un meccanismo efficace di ripartizione dei benefici. Il Fondo di Condivisione dei Benefici non può finanziare centri di ricerca, università o programmi di sequenziamento genetico a beneficio esclusivo dell’industria. Dovrebbe invece essere utilizzato in via prioritaria per: 1) rafforzare le organizzazioni di agricoltori che sviluppano programmi collettivi per la conservazione, la selezione e la gestione dinamica delle risorse fitogenetiche in situ nelle aziende agricole o per la conservazione decentralizzata ex situ delle PGRFA sotto il controllo collettivo degli agricoltori che le utilizzano; 2) finanziare programmi di ricerca o di allevamento in collaborazione orientati agli stessi obiettivi e guidati da organizzazioni di agricoltori; 3) sostenere azioni per integrare i diritti degli agricoltori nelle legislazioni nazionali.
Guy Kastler ha spinto per proporre queste posizioni come raccomandazioni finali, ma sono state accolte solamente in parte e principalmente dagli stati africani e latino americani. Come era prevedibile, gli stati europei e nord americani hanno creato uno stallo su problemi prettamente burocratici e sulla questione del pagamento, tematica centrale nel funzionamento del Sistema Multilaterale. Quest’ultimo, infatti, ad oggi prevede un pagamento su base volontaria da parte dei governi di una percentuale sul commercio di sementi (appunto, commerciali) nazionale. Tale pagamento viene effettuato in parte dalle industrie attraverso sistemi di tassazione, in parte dallo Stato, e mira a rimpolpare le casse del Fondo di Distribuzione di Benefici che dovrebbe garantire e salvaguardare le attività delle comunità che proteggono le sementi.
Il Gruppo di Lavoro del Trattato è quindi chiamato a rendere obbligatorio il pagamento di una percentuale fissa per ogni Stato che ha ratificato il Trattato in base al valore del commercio nazionale di sementi. Per capire la lontananza di visioni: il Nord America e l’Europa propongono una percentuale che si attesti sullo 0,016%, a differenza dell’Africa che invece chiede lo 0,30%.
I lavori del gruppo sono andati avanti fino a notte
fonda per cercare di arrivare ad una decisione finale. Il risultato purtroppo non
è arrivato, poiché è stato espresso il bisogno delle parti di consultarsi con i
tecnici del proprio governo per fare proposte concrete e definitive.
Ad ogni modo, il confronto avuto verrà valutato dall’Organo Direttivo
del Trattato che si riunirà a novembre di quest’anno a Roma. Per questo motivo,
è molto probabile che il Gruppo di
Lavoro organizzerà un nuovo incontro 3 giorni prima dell’inizio dei lavori
dell’Organo Direttivo per le discussioni finali. Staremo a vedere se –
ancora una volta – gli interessi economici avranno la meglio sui diritti degli
agricoltori o se avverrà il contrario. Crocevia,
come sempre, sarà al fianco dei movimenti contadini per supportare il loro
lavoro e per far prevalere, prima di tutto, i diritti delle persone.
[1] Non esiste una definizione giuridica accettata globalmente. La Convenzione sulla Diversità Biologica definisce la conservazione in situ come “conservazione degli ecosistemi e degli habitat naturali e il mantenimento e il recupero di popolazioni vitali di specie nel loro ambiente naturale e, nel caso di specie domestiche o coltivate, nell’ambiente in cui hanno sviluppato le loro proprietà distintive”. La conservazione on farm è quindi una specifica della conservazione in situ e definisce la domesticazione delle specie sul proprio campo da parte dei contadini e che quindi evolvono continuamente le caratteristiche delle specie. Per questo motivo, i movimenti contadini preferiscono utilizzare il termine on farm.
Autore: Stefano Mori
Editing: Mauro Conti
Web Content Editor: Eleonora Mancinotti