Expo MILAN

EXPO MILAN, comunicato n.1

Visibile o invisibile niente toglie il valore ed il peso che l’agricoltura contadina ha non solo nel garantire la sicurezza alimentare degli abitanti del Pianeta ma nell’economia più in generale. Niente può cancellare il peso che questa ha nella storia del Pianeta, oggi. Soprattutto in questo lungo periodo di crisi dell’accumulazione capitalista segnato profondamente dall’incapacità delle élite dominanti di porvi rimedio almeno fino alla prossima crisi.

EXPO MILAN è una adeguata, se pur modesta, rappresentazione di questa incapacità delle élite dominanti – e non importa se non stanno al governo –  di mettere mano, o più semplicemente, mettere dei cerotti alla crisi. Esse si sono convinte che il proprio immaginario, la loro rappresentazione della realtà, sia il mondo reale, quello abitato e vissuto da miliardi di uomini e donne che vogliono vivere una vita degna di essere vissuta. Per questo hanno bisogno di visibilità, di comunicazione, di ambasciatori/trici, di slogan e storie individuali di successo, di inventare comunità là dove queste non ci sono e negare le comunità là dove queste assumono un ruolo egemone come Popoli.

EXPO MILAN è un tentativo di convincerci che “un” supermercato globale possa diventare un luogo di Governance del pianeta e dell’agricoltura. Ma “…il patto non scritto fra chi vende e chi compra è che la finzione sia un gioco gratuito, mentre invece ha un prezzo. Un prezzo non solo monetario, ma sociale e culturale: la storia vi appare come una merce, la sua clonazione come l’involucro entro cui gettarla sul mercato...” (“Se Venezia muore”. Salvatore Settis, Einaudi- 2014).

Né la “carta di Milano”, né il Manifesto Terra Viva”, o le innumerevoli dichiarazioni e ricette che ci saranno vendute nei prossimi sei mesi come soluzioni alla crisi alimentare, hanno una qualche legittimità ai nostri occhi, perché pretendono di spiegare, suggerire, “parlare in nome” di miliardi di donne e uomini che ogni giorno si alzano per andare nei campi, nelle steppe, nelle foreste, nei mari o nei fiumi, e produrre cibo per loro stessi e per tutti. Isolati o organizzati collettivamente, questi resistono alla crisi economica, sociale, ecologica. Resistono anche al tentativo antico di cancellarli e, con la forza della disperazione o con la gioia delle lotte vinte, costruiscono.

Come hanno fatto per millenni, coltivano i campi scrivendo nei solchi la nostra storia, attingendo al passato per costruire il futuro della produzione agricola ed alimentare . Combattono contro chi toglie loro la terra, l’acqua, le sementi, il bestiame, un reddito degno, il lavoro, la speranza, la gioia, senza distinguere quelli che rubano o – peggio uccidono e deportano oltre il mare –  per il colore della pelle o la  nazionalità/transnazionalità. Da queste lotte sono nate le alternative, la sovranità alimentare (per il momento ancora poco citata, ma, forse qualche manager la presenterà come brand nei prossimi mesi ad EXPO MILAN), l’agroecologia, o le grandi organizzazioni collettive come la Via Campesina, il ROPPA (Réseau des organisations paysannes et de producteurs de l’Afrique de l’Ouest ), World Forum of Fish Harvesters & Fish Workers (WFF), World Forum of Fisher Peoples (WFFP) o International Planning Committee for Food Sovereignty (IPC). Organizzazioni dove non “…si passa dalla lotta sociale a delle forme di antagonismo identitario e infra-sociale..” (“Radicalisation” – Farhad Khosrokhavar. ENSN, 2015) ma collettivamente si discute, si  propongono soluzioni e si lotta per costruire  un mondo radicalmente diverso, socialmente giusto dove la produzione del cibo sia un atto sostenibile per le generazioni future.

Organizzazioni e spazi politici dove EXPO MILAN resta giusto una fiera di pochi mesi.