I negoziati sulle risorse genetiche rimangono in stallo

Una partita di scacchi in stallo da dieci anni. Così appare il negoziato del gruppo di lavoro creato in seno al Trattato sulle risorse fitogenetiche (ITPGRFA) per rafforzare il Sistema Multilaterale di accesso e condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle risorse fitogenetiche. Lo abbiamo seguito dal 12 al 14 luglio, supportando la partecipazione dell’International Planning Committee for Food Sovereignty, rappresentato da Guy Kastler della Via Campesina.

Costituito nel 2013, questo gruppo di delegati delle parti contraenti da diverse regioni del mondo ha il compito di trovare il modo per far rispettare i principi del Trattato in tema di accesso alle risorse genetiche vegetali. Gli impegni sono tanto chiari quanto disattesi: uno è la facilitazione dell’accesso, l’altro il rispetto dei diritti degli agricoltori che hanno fornito la grande maggioranza delle risorse genetiche e la equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo del germoplasma prelevato dallo spazio comune (il Sistema Multilaterale – MLS). 

L’abuso del “common basket”

Questo spazio, in concreto, è la rete delle banche del germoplasma situate nei diversi paesi contraenti, dentro cui sono depositate sementi selezionate e conservate nei secoli o nei millenni dai contadini. La gran parte dell’agrobiodiversità globale si trova nei paesi del Sud del mondo, i quali, mettendola a disposizione, si aspettano – come da lettera del Trattato – che chi le utilizza per selezionare e commercializzare nuove varietà di piante, paghi loro una quota dei profitti che poi ne ricava. La condivisione dei benefici, appunto. 

La quota decisa dal Trattato varia dallo 0,77% delle vendite nette per 20 anni del prodotto che contiene la risorsa genetica prelevata dal Sistema Multilaterale, allo 0,5% delle vendite per 10 anni di tutti prodotti derivati dalla risorsa genetica. In questo secondo caso, visto che l’obolo sarebbe maggiore, il beneficiario riceve in cambio accesso facilitato a tutte le risorse fitogenetiche della stessa specie della varietà da cui ha prelevato un singolo campione di seme. In sostanza, invece di firmare un contratto tutte le volte che ha bisogno di una singola risorsa, gli basta un unico accordo per accedere a tutte quelle della stessa specie.

Questo macchinoso sistema è vincolante, tra l’altro, solo per chi realizza prodotti brevettati come gli OGM. Chi invece consente l’accesso alle sue nuove varietà per attività di ricerca, selezione o conservazione, non è obbligato a pagare. In concreto, l’obbligo di pagamento riguarda solo i profitti derivanti dalla vendita di sementi brevettate, e non di quelle libere da diritti o coperte da una privativa per varietà vegetali (o dal nuovo brevetto unitario europeo), che prevede una “eccezione del costitutore” ma non rispetta il diritto degli agricoltori di utilizzare liberamente le sementi dei propri raccolti.

Da quando nel giugno del 2004 il Trattato è entrato in vigore, le imprese hanno attinto a piene mani, non hanno versato nulla e si rifiutano di farlo. Possono permetterselo perché nessuno traccia il germoplasma rubato dallo spazio comune e infilato nei loro prodotti brevettati. Dato che i brevetti vengono rilasciati senza alcun obbligo di indicare l’origine delle risorse utilizzate, in assenza di controlli, le aziende possono eludere molto facilmente i loro obblighi. In questo furto legalizzato sono fiancheggiate da governi che frenano ogni tentativo di rafforzare l’efficacia del Trattato, come Stati Uniti, Canada, Unione Europea e Giappone fra gli altri. Un Nord globale dove le più grandi multinazionali hanno sede, influenzano le politiche e sfruttano i buchi legislativi.

DSI, la minaccia per la biodiversità globale

Se il processo di implementazione resta impantanato, per questi soggetti è tanto meglio. Ma per chi ha lottato per ottenere regole vincolanti per fermare la pirateria è qualcosa di oltraggioso. Tantopiù che da ormai una decina d’anni è emersa un’ulteriore minaccia. Grazie alle denunce dell’IPC e di Crocevia, il sequenziamento e la successiva digitalizzazione delle risorse genetiche contenute nel Sistema Multilaterale è diventato un tema. Lo è perché la Digital Sequence Information (DSI) viene ricavata dai ricercatori e caricata in database pubblici (spesso open source) e privati (spesso non liberamente accessibili). Tramite processi di biologia sintetica e bioinformatica è possibile riprodurre queste sequenze senza più disporre del materiale fisico: bastano i dati. 

Così, dietro la retorica della conoscenza libera e aperta, si nasconde un doppio rischio: in primo luogo, che queste informazioni vengano ricostituite in materia utilizzando la biologia sintetica, e poi brevettate come “invenzioni”; di conseguenza, che nessuno acceda al Sistema Multilaterale dopo averlo prosciugato digitalizzando e brevettando le sue informazioni. Intendiamoci, non è come per qualcuno di noi scaricare un brano da Internet per farsi la propria compilation. È come se un autore famoso scaricasse quel brano, lo mettesse nel suo nuovo album e lo vendesse alla distribuzione globale coperto da un diritto d’autore che ne impedisce la commercializzazione ad altri. Sarebbe difficile farlo con Let it be dei Beatles, perché è troppo celebre. Ma non lo è per milioni di altre melodie e canzoni.

Con la quasi totalità delle sequenze genetiche contenute in oltre due milioni di campioni di sementi del Sistema Multilaterale del Trattato ora liberamente disponibili su Internet, le aziende potranno finalmente chiudere il cerchio: brevettare come invenzioni il materiale genetico sviluppato dagli agricoltori, a cui è negato l’accesso alle sementi fisiche conservate dal MLS. E non solo quello messo a disposizione dai paesi firmatari del Trattato e proprietari di banche genetiche, ma anche quello presente nei campi, che non è stato raccolto e riversato nel Sistema Multilaterale. Sono queste le risorse più preziose, perché contengono tutte le caratteristiche selezionate dagli agricoltori per adattare le loro sementi ai cambiamenti climatici, ambientali, sociali e alle tecniche di coltivazione. La biodiversità coltivata, infatti, evolve con l’ambiente e il sapere degli agricoltori. Se le DSI non saranno regolate, quindi, verrà sdoganata l’appropriazione definitiva della biodiversità contadina per il profitto di poche grandi imprese transnazionali, in violazione dei diritti degli agricoltori e degli obblighi di condivisione dei benefici. Noi la chiamiamo legalizzazione della biopirateria.

Materia e informazione

Come prevedibile, questo tema è diventato centrale nel dibattito ad alto livello del Trattato sulle risorse fitogenetiche. E anche in questi giorni è stato il proverbiale elefante nella stanza. 

L’industria considera le DSI come dati prodotti dalla ricerca, non risorse genetiche che contengono informazioni soggette agli obblighi previsti dal Trattato di condividere i benefici e proibire qualsiasi rivendicazione di diritti di proprietà intellettuale che limitino l’accesso alla ricerca, alla selezione e alla conservazione di queste risorse, delle loro parti o dei loro componenti genetici. I governi del Nordamerica, dell’Europa, d’Australia e di parte dell’Asia (Giappone, Corea del Sud) sostengono le imprese. Africa e America Latina, insieme a molti paesi asiatici, lottano invece per includere le DSI negli obblighi del Trattato. Finché questo punto non sarà sciolto, le aziende potranno accedere ai dati genetici di loro interesse da un database open source, associarli a un carattere particolare di una pianta (la sua “funzione”) recuperato da pubblicazioni accademiche e brevettare questa “informazione genetica” associata a una di queste “funzioni”. Questo gioco di prestigio, nascosto dietro un linguaggio giuridico contorto, permette loro di vietare l’uso di tutte le sementi che contengono informazioni genetiche brevettate a quegli stessi agricoltori che hanno selezionato, conservato e fornito al Sistema Multilaterale le sementi da cui queste informazioni sono state identificate e digitalizzate.

Con ogni sorta di tattiche diplomatiche, i delegati del Nord globale hanno provato a mandare a monte anche questi tre giorni di trattative. Abbiamo visto perdere ore su cavilli stucchevoli, solo per far passare il tempo e innervosire le controparti. Abbiamo visto chiedere di allargare il pool di risorse genetiche disponibili nel Sistema Multilaterale senza prima accordarsi su un meccanismo di pagamento e di rispetto dei diritti degli agricoltori che funzioni per davvero. Abbiamo visto negare la natura del DSI come risorsa genetica, con i più scaltri – come l’Europa – che sostenevano fosse prima necessario arrivare a una definizione condivisa, ben sapendo che questo porterebbe il processo ad allungarsi ulteriormente.

Tuttavia, sono stati obbligati a tenere conto della decisione dell’organo direttivo del Trattato, che nel 2019 ha rinviato il dibattito sulle DSI alla Convenzione sulla Biodiversità. La recente Conferenza delle Parti della CBD (COP 15) ha risposto che le DSI dovrebbero essere soggette alla condivisione dei benefici. Di conseguenza, i Paesi “del Nord” non sono riusciti a impedire che la relazione finale della riunione sottolineasse che le DSI sono uno dei “punti caldi” dei negoziati, come i movimenti hanno sottolineato negli ultimi dieci anni a ogni riunione di questo gruppo di lavoro e dell’organo direttivo. D’altro canto, sono riusciti a far sì che il rischio di confisca delle sementi degli agricoltori e delle sementi tradizionali da parte dei brevetti relativi a queste informazioni digitalizzate non venisse menzionato nella relazione, anche se questo problema è stato evidenziato durante la riunione da diverse parti contraenti in seguito agli interventi dell’IPC.

Il destino del Trattato

Tuttavia, questa tre giorni di negoziati ci ha lasciato l’amara sensazione che il riconoscimento dei diritti degli agricoltori, che implica il divieto di rivendicare i brevetti sulla DSI che contengono, richiederà una forte mobilitazione.

Noi però sappiamo di avere ragione, anche perché il Trattato è chiaro laddove parla di risorse genetiche “e informazioni associate”, anche se è stato scritto prima dell’invenzione della DSI. Se gli stati assolvessero ai loro impegni – impedirebbe la brevettazione di caratteri nativi sviluppati dai contadini. Non solo: metterebbe in questione anche eventuali diritti di proprietà intellettuale in grado di bloccare ogni utilizzo di risorse fitogenetiche prese dal Sistema Multilaterale. Per cancellarne il carattere di “innovazione” necessario per ottenere un brevetto, basterebbe che la firma del contratto per l’accesso alla risorsa precedesse alla domanda di brevetto sulle informazioni genetiche contenute in quella stessa risorsa. Tuttavia, questo obbligo può ancora essere aggirato grazie al libero accesso ai dati delle sequenze digitali online e alle pubblicazioni scientifiche che elencano le conoscenze degli agricoltori sulle caratteristiche di ogni seme che può contenere queste sequenze.

Il problema è che, se nessuno farà nulla per rendere operative queste disposizioni, chiudendo queste scappatoie e garantendo il rispetto dei diritti degli agricoltori. il Trattato rischia di collassare sulla sua inefficienza. Questo sistema di dialogo globale per la regolamentazione delle risorse fitogenetiche, faticosamente costruito per arginare la privatizzazione spinta dall’Organizzazione Mondiale del Commercio con l’accordo sulla proprietà intellettuale (TRIPs), a due decenni dal suo momento più alto si trova in quello più basso. Il gruppo incaricato di rendere concreti gli impegni lavorerà fino alla fine del 2024. Nel frattempo, le aziende sementiere continuano a rivendicare brevetti sulle DSI. Resta quindi poco tempo per salvare il Trattato.

Un intervento di Guy Kastler, contadino membro del Gruppo di lavoro Agrobiodiversità dell’IPC e della Via Campesina