Intervento della Prof.ssa Paoloni sulla mancata attuazione dei “diritti degli agricoltori” sulle sementi

L’”equa” remunerazione per  l’uso di materiale di moltiplicazione e la mancata attuazione dei “diritti degli agricoltori” sulle sementi

  1. La Corte di Giustizia Europea il 25 giugno 2015 si è espressa in merito ad una domanda di pronuncia pregiudiziale avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 14 del Reg. (CE) n. 2100/94 del Consiglio, del 27 luglio 1994[1], concernente la sempre complessa e delicata materia dei diritti di privativa comunitaria per ritrovati vegetali.

Tale articolo prevede una particolare deroga alle norme in materia di privative comunitarie per ritrovati vegetali dettate, in via generale, nell’art. 13 del suddetto regolamento, che è appunto dedicato alla disciplina dei “Diritti dei titolari della privativa comunitaria per ritrovati vegetali e atti vietati”. In virtù di questa disposizione, i soggetti che intendono produrre o riprodurre (moltiplicare), condizionare a fini di moltiplicazione, mettere in vendita, commercializzare, esportare o importare, immagazzinare costituenti varietali, o materiali raccolti della varietà protetta, sono tenuti a richiedere un’autorizzazione ad hoc al titolare della privativa.

L’art. 14, par. 1,  stabilisce appunto che “In deroga all’articolo 13, paragrafo 2 e ai fini della salvaguardia della produzione agricola, gli agricoltori sono autorizzati ad utilizzare nei campi a fini di moltiplicazione, nelle loro aziende, il prodotto del raccolto che hanno ottenuto piantando, nelle loro aziende, materiale di moltiplicazione di una varietà diversa da un ibrido o da una varietà di sintesi che benefici di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali”.

La regola non si applica, come è ovvio, in modo indiscriminato ma unicamente con riguardo ad alcune specie di varietà agricole menzionate, dettagliatamente, nel secondo paragrafo dell’art. 14. Inoltre, la norma impone agli agricoltori il rispetto di una serie di condizioni e limitazioni; tra queste quella che interessa precipuamente, ai fini delle presenti note,  concerne la corresponsione di una “equa remunerazione” derogatoria al titolare della privativa. Infatti, i soggetti che possono fruire della deroga sopra menzionata sono sia i piccoli agricoltori, ovvero coloro che non coltivano vegetali su una superficie più ampia di quella che sarebbe necessaria per produrre 92 tonnellate di cereali e, solo nel caso delle altre specie vegetali di cui al paragrafo 2 del su citato articolo, gli agricoltori che soddisfano opportuni criteri a quelli paragonabili: per queste due particolari categorie di coltivatori non vige l’obbligo del  pagamento di una remunerazione al costitutore stante il principio del “privilegio dell’agricoltore”[2] che la Convenzione UPOV del 1991, prima, e la normativa comunitaria, poi, hanno disegnato, specificamente, per tali soggetti.

A tutte  le altre categorie di agricoltori, non rientranti dunque nel novero dei “piccoli agricoltori” o assimilati è, per contro, richiesto il versamento di un’equa remunerazione al titolare della privativa. Tale remunerazione è di un ammontare sensibilmente inferiore all’importo da corrispondere per la produzione, soggetta a licenza, di materiale di moltiplicazione della stessa varietà protetta nella stessa zona. Come, infatti, suggerisce la Corte di giustizia in un’altra pronuncia vertente su temi analoghi, “si deve prendere come base di calcolo l’importo del corrispettivo dovuto per la produzione, soggetta a licenza, di materiale di moltiplicazione di varietà protette della specie vegetale di cui trattasi nella stessa zona”[3].

La Corte di Giustizia applica diligentemente la norma del Regolamento e conclude l’esame del caso proposto stabilendo, conseguentemente,  che “Per poter beneficiare della deroga, prevista all’articolo 14 del regolamento (CE) n. 2100/94 del Consiglio, del 27 luglio 1994, concernente la privativa comunitaria per ritrovati vegetali, all’obbligo di ottenimento dell’autorizzazione da parte del titolare della privativa della varietà vegetale di cui trattasi, un agricoltore, che abbia utilizzato materiale di moltiplicazione di una varietà vegetale protetta ottenuto mediante coltivazione (sementi di coltivazione), senza aver a tal fine concluso un contratto con il titolare medesimo, è tenuto al versamento dell’equa remunerazione di cui al medesimo articolo 14, paragrafo 3, quarto trattino”.

I giudici europei precisano, altresì, che detto pagamento vada corrisposto entro il termine scadente alla fine della campagna di commercializzazione nel corso della quale tale utilizzazione abbia avuto luogo, vale a dire entro il 30 giugno seguente la data della nuova semina.

La sentenza, in sostanza, non introduce alcun elemento di novità, anzi ribadisce un trend giurisprudenziale che nel corso degli anni si è  sempre più conformato al dettato legislativo[4] originario ed alle sue successive modifiche.

All’interprete, diversamente, la pronuncia sollecita alcune riflessioni divergenti dal mainstream che segna gli studi sulle privative vegetali e stimola delle critiche all’attuale sistema dell’obtention végétale vigente in Europa che, sotto numerosi profili, non tutti affrontabili in questa sede, meriterebbe una revisione.

 

  1. Il cuore della pronuncia risiede, in sostanza, nella particolare situazione giuridica in cui vengono a trovarsi i due responsabili di una società agricola, a loro intestata, i quali né rientrano nella categoria dei “piccoli agricoltori” né richiedono la su menzionata autorizzazione per l’utilizzo della semente ottenuta dal raccolto precedente come materiale di moltiplicazione, al titolare del diritto di privativa sul ritrovato vegetale protetto. Nel caso in esame trattasi di una varietà vegetale d’orzo invernale denominato “Finita”; tale semente rientra nel novero dei vegetali soggetti a deroga.

I Vogel, questo è il nome dei due agricoltori protagonisti della vicenda, non avendo stipulato alcun contratto con la società che gestisce i diritti di diversi titolari di privative e tra questi anche quelli del costitutore della varietà d’orzo “Finita”, non rispondono alle richieste di informazioni loro inviate dalla ditta sementiera in quanto ritengono di essere svincolati da qualsiasi obbligo relativo al pagamento di una royalty ulteriore a quella già corrisposta al momento dell’acquisto delle sementi destinate alla prima coltivazione e computata, come è prassi, nel prezzo finale del prodotto.

Ma, secondo quanto già anticipato, ai sensi del regolamento 2100/94, detto comportamento, pur se ritenuto corretto dai Vogel, non libera gli agricoltori dai loro vincoli con il costitutore: infatti, essi devono appunto corrispondere, al titolare della privativa, un’equa remunerazione[5] che, dal tenore delle norme ma anche delle motivazioni addotte dai giudici nella sentenza in commento, altro non è che una sorta di equo compenso commisurato all’entità del canone delle sementi rimesse in circolazione dopo il primo raccolto.

E tale pagamento, come precisa chiaramente la Corte, è dovuto anche se a monte non sia stato stipulato alcun contratto tra i due soggetti (agricoltore e costitutore) che contempli detto compenso. Di conseguenza la Corte ha ribadito che la deroga di cui all’art. 14 Reg. 2100/94 non abbia una portata automatica e assoluta ma, al contrario, sia necessario concludere un apposito contratto con il titolare della privativa che disciplini anche tempi e modi di versamento dell’equa remunerazione o, in assenza, che questa debba essere versata entro un termine massimo individuato dalla Corte nella “fine della campagna di commercializzazione nel corso della quale tale utilizzazione abbia avuto luogo” in modo da  non decadere dalla possibilità di beneficiare della deroga stessa.

Si può, peraltro, osservare che la superfluità di una relazione contrattuale tra le parti ben si evince dal dato oggettivo presente nella norma: il legislatore ha infatti segnatamente previsto, per le ipotesi qui in esame, il pagamento di una “equa remunerazione” e non di un corrispettivo. Occorre, altresì, evidenziare che, nel disegno del legislatore, la facoltà di risemina scaturisce, come è anche facile desumere dal caso di specie, non da un accordo bilaterale bensì da un atto unilaterale prodotto dal titolare della privativa che può “autorizzare” o meno il suddetto conseguente comportamento dell’agricoltore.

In altri termini gli agricoltori, con eccezione di poche categorie, nel vigente sistema sementiero europeo, non sono titolari di alcun diritto al riutilizzo del prodotto del raccolto a fini di moltiplicazione: l’esercizio di tale facoltà discende dunque, laddove sia consentito dalla normativa, da un atto autorizzatorio il cui rilascio è affidato alla discrezionalità del titolare della privativa sul ritrovato vegetale. Il costitutore mantiene, in buona sostanza, una titolarità  sulla semente anche quando questa è ormai materialmente e giuridicamente nel possesso dell’agricoltore.

Si potrà obiettare che la procedura appena descritta sia mirata a consentire al costitutore di tutelare il suo legittimo diritto sulla proprietà intellettuale di un bene che è il risultato delle sue abilità scientifiche e di ricerca[6]. Alcuni al riguardo sostengono, inoltre, che l’equa remunerazione non possa essere eliminata perché essa contribuisce a garantire un ritorno sugli investimenti dei costitutori di nuove varietà vegetali, rendendo al tempo stesso disponibili le varietà protette per ulteriori attività di ricerca.

Le nostre perplessità in merito alla correttezza dell’art. 14 del Reg. 2100/94 qui in esame, discendono dalla semplice constatazione che l’agricoltore, con l’acquisto iniziale della semente instaura un vincolo giuridico con il venditore del bene e dunque, seppure indirettamente, con il costitutore, titolare di un diritto immateriale sulla semente stessa, al quale corrisponde una royalty ricompresa nel prezzo finale di acquisto. Ma nel caso di un uso della semente successivo al raccolto questo vincolo, a nostro avviso, non esiste più, anche perché il seme, dopo la coltivazione ed il raccolto, ha perso le sue caratteristiche originarie di novità, stabilità, distintività, omogenità che legittimano la creazione di una privativa e la conseguente corresponsione di una remunerazione al titolare della stessa. Non solo, l’agricoltore una volta acquistate le sementi, può in teoria,  disfarsene o farne un uso improprio poiché esse sono ormai entrate nella sua sfera “proprietaria”.

Del resto ciò accade, in via generale,  anche quando si acquista un qualsiasi altro prodotto frutto di o contenente un brevetto. Con l’acquisto si conclude un contratto con il venditore e si esaurisce il rapporto giuridico anche con il soggetto brevettante: di norma l’acquirente non è tenuto a corrispondere ulteriori royalty ogni volta che utilizza il bene acquistato contenente l’originaria idea innovativa brevettata.

Nella normativa UPOV, così come applicata in Europa, l’agricoltore, invece, oltre al pagamento della royalty al costitutore, compresa nel prezzo di vendita, deve anche corrispondere un’equa remunerazione successiva all’impiego della semente. Tale corrispettivo si configura alla stregua di un ristoro per il mancato guadagno che il costitutore non percepisce per l’uso reiterato che l’agricoltore compie di una varietà vegetale “creata” dal breeder  ma già pagata dall’agricoltore e finanche da questi impiegata per la coltivazione.

Sembra, nel complesso, che il sistema delle privative vegetali sia alquanto penalizzante per gli agricoltori europei anche se, si sostiene, che esso sia necessario perché va a vantaggio della ricerca e dell’innovazione ma in una logica molto più vicina a quella dei brevetti industriali piuttosto che a quella dei miglioramenti vegetali.

Secondo questa visione prospettica occorrerebbe computare, ai fini della determinazione del valore effettivo della semente,  anche le capacità dell’agricoltore che semina/pianta la varietà vegetale ed ottiene un raccolto di successo: ciò non dipende sempre e soltanto dalla buona semente. Inoltre, pur se la semente mantiene le stesse caratteristiche della semente madre, non dovrebbero essere prese in considerazione anche le condizioni in cui la semina si è tenuta e quindi anche in questo caso l’”abilità” o la sapienza dell’agricoltore nell’uso dei tempi di semina, scelta dei terreni, modalità delle innaffiature, sostanze chimiche varie, che possono migliorare indirettamente l’esito del raccolto e la tenuta del seme?

A nostro avviso, il meccanismo della royalty accessoria sulla risemina, pur se si presenta sotto le vesti di un’equa remunerazione ovvero di una sorta di indennizzo, necessita di una revisione e magari andrebbero poste delle condizioni di uso agli agricoltori (non giungere, ad esempio, alla commercializzazione finale della semente) ma non certo ulteriori obbligazioni pecuniarie che non trovano una legittimazione giuridica.

Perseverando sulla linea tracciata dal legislatore europeo si rende il sistema delle privative vegetali più gravoso per l’agricoltore-utente di quanto lo sia un imprenditore qualsiasi nel sistema dei brevetti e si determina così una  discriminazione inaccettabile.

La posizione giuridica dell’agricoltore, nel sistema UPOV, risulta in conclusione  più svantaggiosa di quella di altri fruitori di beni immateriali legati a delle privative/brevetti ed ai quali viene richiesta, seppure per ragioni difformi da quelle qui prese in considerazione, un’equa remunerazione.

Si vedano i due casi decisi nella sentenza del 15 marzo 2012, citata in nota. Qui la Corte di Giustizia affronta due diverse questioni tra loro affini ma non uguali in materia di tutela dei diritti d’autore delle opere musicali o meglio dei diritti connessi in favore degli artisti interpreti o esecutori e dei produttori di fonogrammi. L’utilizzo di un fonogramma non coinvolge, infatti, solo il diritto dell’autore sull’opera riprodotta, coperta dal diritto d’autore, ma anche i diritti connessi degli artisti interpreti o esecutori e dei produttori di fonogrammi.

Nella causa C-162/10, il gestore di un albergo ha diffuso via radio un fonogramma nelle camere dei clienti ha, cioè, messo a disposizione nelle camere dei clienti apparecchi televisivi e/o radio, cui invia un segnale di trasmissione. Egli, secondo la Corte,  è un «utente» che effettua un atto

di «comunicazione al pubblico» di un fonogramma radiodiffuso ed  utilizza tale fonogramma in modo autonomo in quanto lo trasmette ad un pubblico diverso e ulteriore rispetto a quello considerato dall’atto di comunicazione d’origine.

Inoltre, attraverso detta trasmissione, il gestore in parola riceve dei benefici economici che sono indipendenti da quelli ottenuti dall’emittente o dal produttore di fonogrammi. Per tali ragioni il gestore-utente è tenuto al versamento di un’equa remunerazione, alla società di gestione collettiva rappresentante i diritti dei produttori di fonogrammi sulle  registrazioni sonore o i fonogrammi   per la riproduzione del fonogramma, in aggiunta a quella versata dall’emittente radiofonica. Ma è evidente che il fonogramma riproposto abbia le medesime caratteristiche del fonogramma iniziale e l’intermediazione dell’albergatore persegua il solo scopo di rendere un servizio ulteriore alla clientela da cui ricaverà un incremento dei suoi introiti senza nulla aggiungere alla qualità intrinseca del bene immateriale da lui utilizzato.

Analogamente, nell’altra causa decisa sempre nello stesso giorno dalla Corte di Giustizia, la C-135/10, un medico odontoiatra, il quale installa nella sua sala d’aspetto un apparecchio radio mediante il quale rende udibile per i suoi pazienti una trasmissione radiofonica, è tenuto a versare un’equa remunerazione alla Società Consortile Fonografici (SCF) per l’indiretta comunicazione al pubblico dei fonogrammi utilizzati nella trasmissione radiofonica. In questo caso, pur non essendo immediatamente individuabile un lucro diretto proveniente dalla riproduzione dei fonogrammi, in realtà, conformemente a quanto afferma il giudice la “circostanza che il prezzo del trattamento non cambi a seconda che siano o meno udibili fonogrammi (….) non è idonea ad escludere uno scopo di lucro. Per ritenere sussistente un siffatto scopo è, infatti, sufficiente che si tratti di un elemento della prestazione potenzialmente idoneo a migliorare l’immagine complessiva della prestazione agli occhi del paziente”.

E’ evidente che nei casi riportati la richiesta del pagamento di un’equa remunerazione discenda dall’uso a fini di profitto (seppure indiretto) dei fonogrammi che i due soggetti effettuano e per il cui impiego non hanno corrisposto preventivamente il pagamento dei diritti d’autore, pagati invece dalle emittenti radiofoniche. Mentre, come si è detto, l’agricoltore paga  la royalty al momento dell’acquisto della semente, acquisto costituente la fase necessaria ed anticipatoria dell’atto della semina, che è un atto autonomo ed indipendente dall’atto della “creazione” del seme da parte del costitutore, per poi impiegarlo nei suoi campi.

Occorre, peraltro, rilevare che esiste un ulteriore elemento di penalizzazione dell’agricoltore, utilizzatore di sementi, previsto dal regolamento 2100/94: egli è costretto a subire controlli e visite sul proprio campo da parte di estranei. Come, infatti, si può leggere nella sentenza in commento, la società titolare della privativa vegetale viene al corrente della riproduzione (non autorizzata dal costitutore) delle sementi effettuata dai due agricoltori da un soggetto estraneo al rapporto contrattuale intercorso tra l’agricoltore e la ditta sementiera, ovvero da un fornitore di servizi di trattamento. Cioè il legislatore legittima una sorta di delazione da parte di persone, diverse dagli organi ufficiali deputati a controllare l’operato degli agricoltori, che entrano in contatto con il moltiplicatore delle sementi: dalla dichiarazione del fornitore consegue la richiesta del titolare della privativa per ritrovato vegetale protetto dell’intero canone di licenza (l’equa remunerazione), a titolo di risarcimento nella convinzione (a nostro avviso erronea) che ci sia stato un mancato introito dovuto ad un uso non dichiarato della semente. Addirittura, nel caso qui scrutinato, la richiesta è di un versamento anticipato della somma e cioè prima della semina.

Opportunamente i giudici della Corte di Giustizia, al termine di un ragionamento logico e congruente, stabiliscono che l’equa remunerazione debba essere corrisposta alla fine della campagna di commercializzazione nel corso della quale tale utilizzazione abbia avuto luogo.

 

  1. L’equa remunerazione, richiesta agli agricoltori che hanno riutilizzato il materiale di moltiplicazione senza darne avviso al costitutore, indubbiamente comprime e svilisce l’inveterato diritto degli agricoltori a produrre e a scambiare le sementi, diritto non riconosciuto all’interno del reg. 2100/94 di cui si è fin qui trattato.

Del resto, le politiche legislative europee e mondiali non remano a favore della piena applicazione dei “diritti degli agricoltori” di cui all’art. 9 del Trattato sulle risorse genetiche.

La complessa struttura giuridica e normativa dell’Unione Europea in materia di privative vegetali ha infatti mostrato, finora, una coriacea resistenza  a recepire, all’interno dei numerosi e penetranti regolamenti emanati nel tempo, i nuovi principi in materia di utilizzo delle sementi, contenuti nel  Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche. L’onda d’urto dell’ITPGRFA, mentre ha toccato numerose realtà regionali anche italiane,  non è ancora riuscita a colpire il sistema sementiero europeo. Persino il tentativo della Commissione europea di proporre una normativa unica riguardante il materiale riproduttivo vegetale[7],  anche mediante la revisione delle numerose direttive esistenti, è stato neutralizzato dalla decisa bocciatura del Parlamento europeo nel marzo del 2014 ed è una riprova di quanto sia difficile un adeguamento della materia alle nuove istanze affermatisi in ambito internazionale e sostenute dagli agricoltori di base.

Il Trattato a trent’anni dalla sua approvazione fatica, infatti, ad essere compiutamente applicato in Europa nonostante esso predichi esplicitamente che non possano essere poste limitazioni al “diritto degli agricoltori di conservare, utilizzare, scambiare e vendere sementi”. Un’opzione, questa, che va contro le politiche di brevettabilità delle sementi sostenute dalle imprese agroindustriali e delle sementi e che l’Unione europea non riesce a contenere.

Un ulteriore attacco alla messa in pratica dell’importante art. 9 del Trattato, riguardante proprio i diritti degli agricoltori ed il riconoscimento ufficiale dell’enorme contributo che essi hanno dato e continuano a dare alla conservazione e valorizzazione delle sementi,  proviene dalla decisione assunta, nell’ottobre 2015, dai delegati dei 136 Paesi membri della FAO durante la sesta sessione del Governing Body dell’ITGRFA, ovvero dell’organo ufficialmente deputato a dare attuazione ed a implementare il Trattato stesso. In questo consesso è stata approvata  la realizzazione di un unico gateway internazionale di informazione sui dati genetici delle piante tradizionali coltivate dai contadini e dunque anche delle sementi. Con tale strumento tecnologico sarà, perciò, più facile selezionare le informazioni registrate nella grande banca dati genetica che diventa così un public good globale di dati digitalizzati. Con il  Global Information System on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture diventerà quindi più agevole lo sfruttamento a fini commerciali delle informazioni genetiche sulle sementi da parte di chi vuole trarne profitto e puntare alla loro privatizzazione, mediante lo strumento giuridico della brevettazione delle sequenze genetiche ,  dell’immenso patrimonio di dati rappresentato dalle piante e dalle sementi viventi sulla terra.

Pur essendo questo nuovo strumento di raccolta dati  un apprezzabile mezzo di mappatura delle sementi c’è il rischio che, non adottando opportune ed efficaci politiche di riduzione dei brevetti sul vivente, le informazioni rese di comune dominio possano essere acquisite più facilmente, ed in modo strumentale, dalle multinazionali del seme e selezionate per “creare” solo nuove varietà vegetali che possiedano requisiti specifici (es: resistenza all’acqua o alla siccità) richiesti dal mercato. Un processo che alla lunga, come è stato già ampiamente denunciato, condurrà alla standardizzazione delle sementi ed alla riduzione della biodiversità agricola sul pianeta oltre che all’indebolimento della base genetica sulla quale è fondata l’offerta ci cibo[8].

 Il progresso tecnologico e l’inerzia dei legislatori paradossalmente comprimono invece che aumentare  il potere degli agricoltori sulle risorse genetiche ed in particolare deprivano i piccoli produttori locali della facoltà di utilizzare e scambiare liberamente le loro sementi nonostante sia ormai accertato che su 7.000 colture alimentari che si possono trovare nelle banche genetiche di tutto il mondo, almeno 6.800 continuano ad essere “gestite” dai contadini.

 

The UN Secretary General in his report to the 70th session of the General Assembly, titled “Agriculture development, food security and nutrition” (A/70/333) raises serious concerns with UPOV 1991. Paragraph 68 of the Report states:

An additional challenge that has advanced to the forefront is the pressures exerted on small-scale farming stemming from the provisions of the 1991 Act of the International Union for the Protection of New Varieties of Plants. Restrictions on seed management systems can lead to a loss of biodiversity and in turn harm the livelihoods of small-scale farmers “as well as weaken the genetic base on which we all depend for our future supply of food”.

As smallholders rely predominantly on informal seed systems, the restriction imposed by the Act on the use of farm-saved seeds and the prohibitions on their exchange and sale cause considerable concern. Although only a handful of developing countries have implemented plant variety protection, small-scale farmers and other stakeholders are often excluded from participation in developing and reforming plant variety protection laws.

The full Report of the UN Secretary General A/70/333 is available at http://www.un.org/Docs/journal/asp/ws.asp?m=A/70/333

[1] L’art. 14 del reg. 2100/94, va letto in combinato disposto con l’articolo 8 del regolamento (CE) n. 1768/95 della Commissione, del 24 luglio 1995, che definisce le norme di attuazione dell’esenzione agricola prevista dall’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 2100/94, come modificato dal regolamento (CE) n. 2605/98 della Commissione, del 3 dicembre 1998.

[2] La legge italiana di recepimento della Convenzione UPOV non riconosce il privilegio dell’agricoltore anche perché  in Italia le aziende agricole sono maggiormente di piccole dimensioni.

[3] Si veda. Sentenza della Corte (Prima Sezione) 5 luglio 2012 – Causa C-509/10, sulla quale si tornerà in prosieguo

[4] Si richiamano, in particolare, le due importanti pronunce menzionate anche dai giudici nel testo della sentenza in commento:  la sentenza Geistbeck, C-509/10,  pubblicata con commento di L. Costantino, Privativa comunitaria per i ritrovati vegetali e nozione di equa compensazione, nota a Corte di Giustizia UE, I sez., 5/07/2012, causa C-509/10, in Giur. ital., 2012, 1746 e la famosa sentenza Schulin, Corte di Giustizia, V sez., 10/4/2003, causa C-305/00, in Racc., I-3525.

[5] Si ritiene che il concetto di “equa remunerazione” abbia una radice comunitaria e venga utilizzato, sovente proprio nella materia dei diritti di proprietà intellettuale, quando si intende compensare un soggetto per  lo svantaggio economico che può derivargli, ad esempio, dalla diffusione delle sue opere artistiche. In argomento,  v. Conclusioni dell’Avvocato Generale A. Tizzano, presentate il 26 settembre 2002, Causa C245/00, vertente sul diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore. Più recentemente la Corte di Giustizia Europea con due sentenze emesse entrambe in data 15 marzo 2012,  causa C-135/10 e C-162/10, ha ribadito che la comunicazione e diffusione al pubblico di fonogrammi da parte, segnatamente, di un dentista nel suo studio e di un albergatore nel suo hotel, dia diritto agli artisti interpreti o esecutori e ai produttori a richiedere e percepire un’equa remunerazione per tali utilizzi.

[6]In materia di “utilizzo” e “riutilizzo” delle sementi,  M. Benozzo, F. Bruno, La valutazione di incidenza. La tutela della biodiversità tra diritto comunitario, nazionale e regionale, in Quaderni della rivista giuridica dell’ambiente, n. 23, Milano, 2009, 140 ss.

[7] Commissione Europea, proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla produzione e alla messa a disposizione sul mercato di materiale riproduttivo vegetale (testo unico sul materiale riproduttivo vegetale), Bruxelles, 6.5.2013 COM (2013) 262 final

[8] Per altre considerazioni si veda il Report del 18 agosto 2015 del Segretario Generale delle NU,  Agriculture development, food security and nutrition” (A/70/333) disponibile a //www.un.org/Docs/journal/asp/ws.asp?m=A/70/333