La Conferenza delle Parti della CBD si ferma due giorni prima del rush finale su DSI e Biologia Sintetica

La Conferenza delle Parti della Convenzione (COP) sulla Diversità Biologica, dopo una settimana dall’inizio, si ferma per due giorni (il 23 e il 24 novembre) per far respirare i negoziatori delle Parti Contraenti e tutti i gruppi di interesse che si sono affacciati alla Conferenza fino ad ora e che non hanno avuto un minuto di tregua. In realtà, queste due giornate servono più che altro a trovare accordi su questioni più controverse sulle quali gli Stati non riescono a trovare un accordo.

Quindi, ad una settimana dall’inizio della CBD – ed anche ad una settimana dalla fine della stessa – abbiamo pensato di fare un riassunto della situazione e di quello che ci aspetterà la prossima settimana insieme ai compagni del Comitato Internazionale di Pianificazione per la Sovranità Alimentare.

Le discussioni in plenaria sono quindi giunte al termine e riprenderanno solamente negli ultimi due giorni per accettare i testi finali delle raccomandazioni e concludere la quattordicesima edizione della COP. L’attenzione si sposterà esclusivamente sui Gruppi di Contatto, in cui gli Stati stanno discutendo intensamente. Dopo un inizio molto blando, ora le Parti Contraenti stanno affrontando in modo deciso tutte le tematiche più controverse. I Gruppi di Contatto che riprenderanno i lavori domenica discuteranno su: la biologia sintetica – che include i temi caldi gene drive e genome editing –, le informazioni digitali sequenziate sulle risorse genetiche, le considerazioni socio-economiche sulla biodiversità e la valutazione del rischio. Mentre le ultime due tematiche sono appena cominciate ad essere affrontate, le prime due sono già all’apice della negoziazione e si preannuncia un’altra settimana altrettanto intensa.

Il Gruppo di Contatto su biologia sintetica si è riunito di nuovo ieri, 22 novembre 2018, e le negoziazioni sono durate fino a tarda serata (verso mezzanotte circa). La questione cruciale, sulla quale le Parti Contraenti si stanno trovando in disaccordo, riguarda le modalità con le quali gli Stati deciderranno di introdurre organismi viventi modificati (chiamati LMOs da Living Modified Organisms) oppure di vietarne l’utilizzo. L’altro aspetto controverso riguarda invece la consultazione delle comunità locali e dei Popoli Indigeni sull’introduzione di questi organismi nell’ambiente.

Riguardo al primo aspetto, la Bolivia, il Messico, il Venezuela e l’Unione Europea spingono per avere una valutazione dei rischi, che includa anche aspetti socio economici, ogni qualvolta si voglia introdurre un nuovo organismo risultato da modificazione genetica o altra tecnica “innovativa”, anche in caso di sperimentazione scientifica nell’ambiente. Il continente Africano, l’America del Nord e la Nuova Zelanda stanno cercando di smorzare questa parte della raccomandazione, sottolineando il bisogno di terminologie più precise e di una valutazione prettamente scientifica di queste tecniche. La strategia di questi ultimi Stati si rivela ancor più chiara dal momento che vogliono evitare qualsiasi enfasi su genome editing e gene drive, che vogliono farle passare come tecniche naturali e non come tecniche di biologia sintetica. In questo modo, i regolamenti per la sperimentazione di queste tecniche sarebbero molto più deboli e permetterebbero una diffusione più rapida. Allo stesso tempo rappresenterebbero una minaccia enorme per l’ambiente circostante e i campi coltivati, che verrebbero contaminati attraverso gli impollinatori naturali come acqua, vento e fauna selvatica.

A seguito di trattative estenuanti, che hanno visto la Bolivia non mollare mai un centimetro su un tema così importante, si è arrivati alla conclusione che prima di considerare l’immissione di organismi provenienti da tecniche di biologia sintetica, è necessario valutare i rischi a seconda di ogni tecnica utilizzata. Manca ancora da discutere sull’introduzione o meno delle tecniche di genome editing e gene drive in questi casi, ma rimaniamo fiduciosi.

L’altro tema riguardo il Gruppo di Contatto su biologia sintetica riguarda invece l’introduzione del Consentimento Previo, Libero e Informato (cosiddetto FPIC – Free, Prior and Informed Consent in inglese) nei casi di valutazione del rischio di organismi ottenuti da tecniche di biologia sintetica. Di nuovo, la Bolivia a gran voce sostiene che vada inserito, nel rispetto di chi vive e sopravvive con le piante e gli animali che potrebbero essere minacciati da queste nuove tecniche. Di diversa opinione sono il Canada, il Costa Rica, il Brasile, l’Argentina e gli stati Africani, i quali pensano che l’aspetto del Consentimento Previo, Libero e Informato sia già coperto da altre raccomandazioni sulla biologia sintetica. Questa logica degli ultimi stati citati, non regge dal momento che viene sì utilizzato in altri punti, ma per la consultazione delle comunità all’interno di gruppi di lavoro della CBD sul glossario della biologia sintetica: la definizione di biologia sintetica, di gene drive, di genome editing, ecc.

Crocevia e l’IPC sono sbigottiti dall’approccio di alcuni stati che vogliono mantenere il controllo delle risorse, con il beneplacito degli scienziati che giocano con la natura senza alcun rispetto per quelle persone che ci vivono nella natura e con la natura. Inoltre, è evidente che la mania di protagonismo e l’avidità di denaro delle istituzioni scientifiche prevalga sul benessere umano nella preservazione della natura.

Il Gruppo di Contatto sulle Informazioni Digitali Sequenziate (DSI) ancora non si è espresso sulle questioni specifiche del testo della raccomandazione. Si è riunito per la seconda volta ieri e riprenderà i lavori solo domenica. Su questo tema il testo delle raccomandazioni si trova da discutere completamente senza nessuna parte accordata ancora. Per questo motivo i primi due incontri, presieduti dalla Bolivia e dalla Bulgaria, sono state discussioni più generali che porteranno ad un testo più accettabile dalle Parti Contraenti, dal momento che rifletterà le discussioni tenutasi gli scorsi giorni.

Gli stati Africani, la Malesia, la Colombia e altri stati latino americani sono convinti sul forte legame tra il materiale biologico delle risorse genetiche e le informazioni ricavate da quel materiale. Per questo motivo, è ovvia la conformazione delle regole sull’uso del materiale e delle informazioni associate. Non sono però dello stesso avviso la Nuova Zelanda, il Canada e l’Unione Europea, che spingono per un Gruppo di Esperti Speciali (quindi chiuso solo per le Parti Contraenti) per arrivare a definizioni più precise e che portino ad una regolamentazione più precisa ed efficace. Si è quindi dibattuto in questa direzione, con una logica che andrebbe nella direzione dell’inclusione delle DSI sotto il Protocollo di Nagoya e le sue regole sull’accesso e distribuzione di benefici come succede per il materiale biologico. Ad ogni modo, aspettiamo il documento su cui le Parti Contraenti dovranno discutere domenica, nel quale saranno riflesse le varie opinioni espresse nel Gruppo di Contatto.

L’altro tema importante su cui si sta discutendo nel Gruppo di Contatto è l’inclusione del DSI nel Piano Strategico sulla Biodiversità post 2020 della CDB. L’esclusione infatti di questo tema nel piano di lavoro della CDB significherebbe la volontà di non regolamentare queste informazioni da parte della CDB. Il Guatemala ha spinto molto quindi per l’inserimento di questo tema nel Piano Strategico, dal momento che tutte le Parti Contraenti ne esaltano l’importanza di tale tema. Su questo aspetto staremo a vedere le posizioni specifiche degli Stati nei prossimi giorni, ma sicuramente sarà una battaglia molto dura, sulla quale le industrie sono pronte a investire massicciamente.

Crocevia e l’IPC saranno ancora alla CDB fino alla fine per analizzare le scelte delle Parti Contraenti e per portare le visioni dei movimenti sociali e delle organizzazioni dei produttori di tutto il mondo. Rimane assolutamente necessario cominciare un processo di inclusione dei produttori di piccola scala in questi tipi di discussioni. Fin quando questi saranno esclusi, la visione della CDB sulla biodiversità non sarà mai olistica, ma avrà sempre grosse limitazioni che portano ad una mancata efficacia delle misure prese. Esempio eclatante è il fallimento totale del Piano Strategico sulla Biodiversità 2011-2020 deciso alla COP di Aichi, il quale non ha assolto a nemmeno uno degli obbiettivi che gli Stati si erano dati in difesa della biodiversità.