29 Febbraio 2020
Abbiamo avuto, al centro del paese, solo un giorno d’inverno. Altro che sparizione delle mezze stagioni. Niente gelate, pioggia poca o niente, forse è solo l’anticipazione del lungo periodo di siccità che sembra attenderci.
I cittadini di questo paese, invece di comprare casse e casse d’acqua minerale – il virus influenzale non corre dentro le tubature dell’acqua potabile delle città – forse farebbero meglio a ridurre il consumo dell’acqua in casa. Noi pensiamo a mettere via il fieno per il periodo che verrà ed avere qualcosa da dare da mangiare alle bestie che non sia mangime industriale. Comunque, nessun governatore delle regioni italiane ha lanciato un grido d’allarme terrorizzato per il progredire del cambiamento climatico. Anzi tutti a festeggiare l’approvazione del “piano mais”[1]. Lo sanno tutti che il mais consuma acqua a non finire ma chi spiega ai governatori delle regioni in cui viene prodotto che poi non ci sarà acqua? Magari poi si chiederà un intervento straordinario per la siccità.
Che paese è il nostro? Dalle notizie che riesco a cogliere dalla radio del trattore ho capito solo poche cose di questa paura della contaminazione. Allora, 3 governatori della parte più ricca – e con l’agricoltura più inquinata – del paese, per fare la guerra al governo (non è il mio governo, anzi…) dichiarano la terribile minaccia generata da un’invisibile pestilenza portata dal “pericolo giallo”. Caduto rapidamente il tentativo di attribuire la minacciosa malattia a qualche cinese di passaggio, si ripiega sulla paura di chiunque ti sta a “meno di un metro” e allora si chiude tutto, come se ci fosse un’epidemia di ebola o fosse in corso una pandemia. Ma, nel giro di una settimana, il capitale scopre che la globalizzazione “rende fragili le nostre imprese” (sentenzia la radio della Confindustria, finalmente) e che le reazioni dei “capitani governatori” stanno massacrando l’economia: niente clienti, niente turismo, niente pezzi di ricambio o per l’assemblaggio, “quasi impossibile chiudere la filiera” (certo se la filiera è lunga quanto l’equatore perché più delocalizzi la produzione meno paghi il lavoro). Facile delocalizzare, deregolare il lavoro (job act suona bene in inglese, un po’ meno bene nella vita delle persone), finanziare con denaro pubblico la “vocazione alle esportazioni della nostra economia”. E l’agricoltura ne è un ottimo esempio: conquistiamo il mercato globale e perdiamo fette crescenti del mercato interno agroalimentare.
E allora, come sempre, si cerca di far pagare i danni alla pubblica cassa. Sovranisti incalliti, regionalisti feroci, difensori dell’autarchia di ogni villaggio, corrono a piangere davanti alle casse statali, quelle in cui sono i soldi versati da quelli che le tasse le pagano, primi fra tutti i lavoratori.
Il capitalismo nostrano, incapace di affronatre la crisi con gli “strumenti del mercato”, sbraita e si dispera per farsi assistere con i denari di tutti. Anche i nostri, di quelli come noi, contadini o agricoltori di piccola dimensione[2] che, pur contribuendo solo con il 10% al valore della produzione agricola nazionale, paghiamo un 23% del totale delle tasse.
Intanto i broccoletti che avevamo piantato, per le necessarie rotazioni, a causa del cambiamento climatico non sono buoni e saranno recuperati – forse – come alimento per il bestiame. Ecco, vogliamo provare a chiedere al primo ministro un sostegno, una prebenda, un dono, un risarcimento. Quello che sia, come fanno gli industriali, gli esportatori, i grandi albergatori. O forse è meglio che ci rivolgiamo direttamente alla Cassa Depositi e Prestiti spa[3] visto che continua a finanziare ampiamente anche “venture capital[4]” in agricoltura. Potremmo proporre loro una bella start-up per riciclare i broccoletti.
Autore: Antonio Onorati
Web Content Editor: Marco
Galluzzi
[1] La Conferenza Stato-Regioni del 20 febbraio 2020 ha licenziato il Piano nazionale del settore mais 2019-2022
[2] Le aziende che fatturano meno di 15.000 € all’ anno occupano un terzo degli addetti in agricoltura, realizzano il 10% della produzione ma pagano il 23% dei contributi sociali a carico di conduttore e familiari
[3] Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) è un’istituzione finanziaria italiana. È una società per azioni, controllata per circa l’83% da parte Ministero dell’economia e delle finanze e per circa il 16% da diverse fondazioni bancarie.
[4] Il venture capital è una forma di investimento di medio-lungo termine in imprese non quotate ad alto potenziale di sviluppo e crescita (high grow companies) che si trovano nella fase di start up, effettuata prevalentemente da investitori istituzionali con l’obiettivo di ottenere un consistente guadagno in conto capitale dalla vendita della partecipazione acquisita o dalla quotazione in borsa. Cioè investimenti ad alto rischio.