Dal 19 al 24 settembre si è svolta a Nuova Delhi, in India, la nona riunione dell’Organo Direttivo del Trattato Internazionale delle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura (International Treaty on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture – ITPGRFA), l’accordo internazionale vincolante che definisce il quadro normativo per la gestione de moltiplicazione della biodiversità agricola e alimentare. Uno strumento che dovrebbe salvaguardare le pratiche contadine dai diritti commerciali sanciti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il Trattato infatti all’Articolo 9, definisce i diritti degli agricoltori attorno a tre aspetti principali:
- Il diritto di partecipazione alle decisioni a livello nazionale riguardo la gestione delle sementi;
- Il diritto di partecipare equamente alla distribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzo e l’accesso alle sementi da parte di istituti di ricerca o altri attori che utilizzano varietà stoccate nell’ambito del cosiddetto Sistema Multilaterale, cioè l’insieme delle “banche dei semi” di tutto il mondo;
- Il diritto collettivo di utilizzare, conservare, scambiare e vendere le sementi da contadino a contadino.
Nonostante l’ITPGRFA sia vincolante, il rapporto che valuta la conformità delle politiche pubbliche ai suoi dettami, presentato in questi giorni al vertice in India, segnala che il 25% delle parti contraenti non ha ancora implementato misure legali per difendere i diritti degli agricoltori.
Ad oggi però l’implementazione su scala nazionale degli accordi internazionali resta un passaggio fondamentale per mantenere forti i diritti umani nel mondo. Per questo Crocevia, come ONG che svolge il ruolo di segretariato della piattaforma mondiale dei movimenti sociali di piccoli produttori di cibo (il Comitato Internazionale di Pianificazione per la Sovranità Alimentare – IPC), ha organizzato e facilitato la partecipazione di delegazioni delle realtà contadine da quattro continenti al 9° incontro dell’Organo Direttivo dell’ITPGRFA, con due obiettivi ben precisi:
- ricordare il carattere vincolante dei diritti degli agricoltori;
- riprendere la discussione sul funzionamento del Sistema Multilaterale del Trattato, per renderlo efficace ed evitare casi di biopirateria legalizzata attraverso la digitalizzazione di sequenze genetiche materiali, una pratica che le imprese hanno sviluppato per tentare di aggirare l’accordo e non compensare in alcun modo le comunità locali da cui quel germoplasma è stato originariamente selezionato in decenni di lavoro.
Riguardo al primo aspetto, dopo cinque anni i movimenti dell’IPC sono riusciti – a fatica – a far emergere una contraddizione. Ora è chiaro che l’interpretazione dell’Articolo 9 non è per tutti la stessa: alcuni paesi pensano che servano misure legali a protezione dei diritti degli agricoltori, altri che ciò possa avvenire attraverso i brevetti o le ricompense dovute a chi registra nuove varietà. I movimenti hanno reso però maggioritaria la prima lettura, facendo notare che la protezione dei diritti deve avvenire non attraverso il diritto commerciale, ma in linea con gli strumenti internazionali di cui si è dotato il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. Sembra un cavillo, ma questo implica che il riferimento per la messa a terra delle norme debba essere – tra gli altri testi – l’UNDROP, la Dichiarazione dei Diritti dei Contadini e delle Persone che vivono nelle Aree Rurali. È un chiaro segno che a guidare l’implementazione vincolante dei diritti umani non debbano essere le regole del mercato.
Riguardo invece al secondo aspetto, cioè il funzionamento del Sistema Multilaterale, la situazione si presentava molto più preoccupante: lo scorso Organo Direttivo del Trattato (svoltosi nel 2019 a Roma) era finito in stallo. Il Sistema Multilaterale dovrebbe garantire regole severe per chi accede al materiale contenuto nelle banche del germoplasma, ma anche facilitare l’accesso da parte dei contadini, dato che le varietà contenute in questi istituti sono state da loro sviluppate in decenni, o addirittura secoli, di gestione dinamica della biodiversità. I problemi del meccanismo oggi sono due: da una parte il (mancato) pagamento di una sorta di tassa per chi accede a queste sementi per sviluppare nuove varietà, come ricompensa per il lavoro dei contadini; dall’altra la DSI (Digital Sequence Information), cioè l’informazione digitalizzata delle sementi fisiche. Tutte le norme e articoli del Trattato si applicano (per il momento) solo alle risorse materiali. Ciò significa che se i governi decidono che le regole per l’accesso alle sementi non valgono per la loro versione digitale, sarà facile per le imprese utilizzare la versione immateriale delle sequenze genetiche senza dover pagare dazio. Di più: potrebbero richiedere diritti di proprietà intellettuale sui corrispettivi fisici selezionati dagli agricoltori e contenuti nelle banche del germoplasma: un vero paradosso.
Queste due discussioni hanno bloccato il Trattato negli ultimi tre anni e rischiano di farlo naufragare, svuotando lo spirito con cui è stato approvato nel 2001.
In questa situazione intricata, i movimenti dell’IPC sono riusciti ad ottenere risultati importanti in chiave diplomatica per rilanciare il negoziato:
- verrà organizzato un simposio in India il prossimo anno sui diritti degli agricoltori, per tornare a discutere dell’implementazione del Trattato e sul suo carattere vincolante, per cercare poi nel prossimo vertice dell’Organo Direttivo a Roma nel 2023 di avere linee guida più precise.
- verrà istituito un gruppo di lavoro sul Sistema Multilaterale che dovrà definire chiaramente i meccanismi di ricompensa per l’accesso alle risorse genetiche.
- verrà promosso uno studio sugli impatti della DSI sul Trattato e la sua implementazione, che verrà presentato al prossimo Organo Direttivo.
I presupposti per uscire dal pantano negoziale ci sono: ora per i movimenti ricomincia il lavoro di pressione per spingere i governi a dar seguito alle loro promesse. Come IPC e come Crocevia continueremo a seguire questa battaglia e continueremo a batterci per i diritti degli agricoltori, perché la biodiversità possa continuare a moltiplicarsi nei campi, grazie al sapere di contadine e contadini, contro la rapacità delle industrie sementiere.